13 aprile 2020

i dischi della mia vita - born to run (1975)

Ogni tanto ho bisogno di riascoltarmi Born to Run, non so bene perché.
Sarà perché è il primo disco che abbia mai ascoltato di Bruce Springsteen.
Sarà perché è l'unico disco del Boss che non mi stanca mai.
Sarà perché è uno degli ultimi dischi di Bruce che è ancora tutto genuino.
O sarà anche per quella copertina magnifica che, quando la aprivi, si componeva di un'immagine a due (dove l'altro è Clarence "Big Man" Clemons) che ispirava una simpatia congenita.
No, quest'ultima cosa non c'entra niente, perché, quando l'ascolto, lo ascolto e basta.

Ma torniamo all'origine: io nel 1975 mica c'ero.
O meglio, c'ero ma ascoltavo al massimo i Matia Bazar o i Pooh. D'altronde avevo solo 5 anni, che pretendete?
M'imbattei per caso in questo disco nella Biblioteca di Celle Ligure.

Dovete sapere che all'inizio degli anni '80 ci fu questo evento straordinario: l'apertura della biblioteca di Celle, appunto. Si trovava nei locali della scuola elementare ed era costituita da 2 stanze di dimensione abbastanza ridotte. C'erano pochi libri, ma  - meraviglia inaspettata - c'era uno stereo, con delle cuffie attaccate. (d'altronde in biblioteca si sta in silenzio)
E all'interno del classico mobiletto nero dello stereo, al piano più basso, c'erano una trentina di LP.
All'epoca io ovviamente non possedevo uno stereo, ne' tantomeno delle cuffie con cui isolarmi e ascoltarmi la musica per i cavoli miei, quindi - nei giorni successivi all'apertura, mi ascoltai alcuni dei dischi presenti. Quando arrivai a Born to Run, beh, l'innamoramento fu immediato.
E non avete idea di quante volte tornai in biblioteca solo per ascoltare quel LP. Mi ricordo ancora di una volta che alzai lo sguardo e vidi la bibliotecaria che rideva sotto i baffi e mi fece segno di fare silenzio, col classico gesto dell'indice davanti alla bocca. Chissà che suoni scomposti stavano uscendo dalla mia bocca in quel momento.

Penso sia prerogativa solo dei grandi artisti riuscire a realizzare qualcosa che sia al tempo stesso orecchiabile, ma che cresce con il passare degli ascolti. Eh, beh, direi che Bruce nel 1975 ci riuscì in pieno.
D'altronde un disco che comincia con "Thunder Road"...


12 aprile 2020

ogni mattina a Jenin

Tra le tante lacune che ho nel mio patrimonio culturale compare anche quella sull'eterna guerra Israele-Palestina, lacuna anche abbastanza grave, visto che è avvenuta a non molti chilometri dall'Italia.
Potrei a questo aggiungere una nota ironica, ovvero che ho scioperato talmente tante volte per la situazione palestinese, quando ero al liceo, che qualcosa dovrebbe essermi rimasta in testa. In realtà, penso come per molti altri, per me era solo una scusa per saltare scuola.

Certo, crescendo qualche cosa si impara e le occasioni di approfondire un qualsiasi tema, dall'approdo di internet in avanti, sono sempre presenti, quindi non sono totalmente all'oscuro di quanto successo in quelle terre.
Ma sentirselo sbattere in faccia con un racconto diretto, beh, quella è un'altra cosa. Tanto che anch'io come Amal, la protagonista di Ogni Mattina a Jenin mi sono trovato a chiedermi: "come può il mondo permettere che questo succeda?"

Insomma, questo è un libro tanto bello quanto struggente. All'inizio ho fatto un po' di fatica a entrarci con la testa, ma poi sono stato assorbito completamente. Ovviamente non è un libro facile: ti ritrovi davanti a tanti di quegli orrori e a situazioni assurde, che bisogna avere lo stomaco forte, per poterle affrontare. Però lo consiglio vivamente, soprattutto a coloro che hanno bisogno di un ripasso di storia contemporanea.
Piccola precisazione doverosa: essendo in buona parte un racconto in prima persona, la visione della storia non è imparziale.


03 aprile 2020

la primavera del coronavirus

Questo inverno/primavera 2020 passerà alla storia per la pandemia che ha colpito il mondo.
Il Covid 19, meglio conosciuto come "coronavirus" si è abbattuto sull'Italia con un impatto che nessuno si aspettava.
Attualmente le scuole sono chiuse da più di un mese e gli uffici già da 3 settimane hanno dato via al famoso smart working per far rimanere a casa le persone e limitare così il contagio.

Inizialmente la questione era stata presa un po' sottogamba, specialmente da chi abita nel centro e nel sud Italia, le zone meno colpite dalla malattia.
Anche i miei genitori, in Liguria, hanno continuato a fare la loro vita, quasi regolarmente.
Penso che il vero scossone sia arrivato un paio di settimane fa, quando nei TG e in rete circolavano le immagini di alcuni camion militari che trasportavano centinaia di bare dall'Ospedale di Bergamo verso i forni crematori. Lì, improvvisamente, la gente ha capito che non c'era più tanto da scherzare con il virus. E così sono iniziate le restrizioni.

La nostra famiglia vive quindi un periodo particolare. Come tutti del resto.
Dalia e io lavoriamo da casa (io ho iniziato il nuovo lavoro) e le ragazze seguono le lezioni online. Fortunatamente abbiamo due tablet e due computer, quindi riusciamo ad avere ognuno il proprio supporto elettronico.
Rigorosamente chiusi in casa, esco solo io una volta alla settimana per fare la spesa, munito di mascherina e guanti. Una scena da filmone apocalittico americano. Chi l'avrebbe mai immaginato.

Stranamente l'atmosfera è serena. Fatta eccezione per qualche sbalzo ormonale di Anita (sempre più vicina ai 14 anni) riusciamo a tenere il morale abbastanza alto.
Si sfornano biscotti e torte ormai di pregevole fattura, si guardano film e ogni tanto si gioca ai giochi di tavolo tipo Pictionary.

E basta. Non ho nessun aneddoto da raccontare, nessuna situazione particolare...
Sento solo il bisogno di lasciare un ricordo di questi mesi su questo diario. Nonostante sia tutt'altro che un assiduo scrittore di questo blog, è un periodo troppo importante per lasciare questo spazio vuoto.

in foto: i buonissimi biscotti di Elena.