15 dicembre 2020

proprio come Te

Alla fine il buon vecchio Nick Hornby si sta trasformando in Anne Tyler, sua scrittrice preferita (stando a una sua intervista di parecchi anni fa). Infatti, appena ho finito di leggere il suo ultimo libro, Proprio come Te, ho avuto la stessa sensazione: narrazione di storie "piccole", fatte di gente comune e di vita quotidiana. Uno sguardo onesto che, pur davanti a scelte ordinarie, ci pone davanti a domande profonde e decisioni importanti.

È la storia di due persone che non c'entrano niente l'una coll'altra: differente estrazione sociale, differente età, differenti abitudini e differente situazione familiare. Ma allora cosa accomuna i protagonisti di questo libro? 

Probabilmente il fatto che nessuno dei due appartiene al contesto in cui vive. Né Lucy - insegnante 40enne e madre di due bambini - né Joseph - ragazzo 22enne nero che si arrangia con piccoli lavori - sentono veramente di appartenere al mondo che frequentano. 

In un Inghilterra spaccata in due dal referendum sulla Brexit, i due si conoscono e si frequentano grazie e nonostante le loro differenze, estranei in un contesto sociale in cui non si ritrovano e con tutta la fragilità delle loro vite.

Come dicevo, Nick Hornby ci parla di argomenti comuni, ma riesce a smuovere i sentimenti più profondi.




26 settembre 2020

Brassic

"Ricorda molto il Guy Ritchie di Lock & Stock" mi ha detto Guglielmo, sapendo di far breccia nel mio cuore con poche parole. Ed è bastata quella frase per convincermi a vedere Brassic, mini serie britannica che al momento conta due stagioni all'attivo.

Per adesso ho visto solo la prima, ma l'amore è stato immediato. Storie di provincia inglese, che vede un gruppetto di amici sopravvivere grazie a vari espedienti (piccoli furti, coltivazione e spaccio di erba, ecc). Ogni volta combinano casini e, quando finalmente uno dei casini è risolto, scoprono di essere finiti in uno ancora più grande. Le risate sono assicurate, ma anche qualche lacrima riuscirà a comparire sul vostro volto.


27 agosto 2020

cambiare l'acqua ai fiori

Cambiare l'acqua ai fiori, di Valérie Perrin, è stato un po' il caso letterario di questa primavera estate 2020. Infatti l'ho comprato per curiosità, attirato dagli elogi che ne decantavano la bellezza.

Devo ammetterlo: il libro non è niente male, lo si legge in fretta (nonostante le quasi 500 pagine) e la storia è interessante. Ma io non vedevo l'ora che finisse.

Sì, perché queste operazioni commerciali dopo un po' stufano. Capisci che è una storia scritta a tavolino per farti rimanere incollato alle pagine. Non c'è un vero trasporto di emozioni.

E per me quello dovrebbe fare l'artista: trasmetterti le sue emozioni. Non cercare di vendere il più possibile con un libro paraculo. Mi sono spiegato?



19 agosto 2020

umami

Ci sono libri che si scrivono con la testa e altri col cuore. Nella mia mente di solito questa divisione corrisponde a: maschile/raziocinio/testa vs femminile/emozioni/cuore. Ma recentemente mi è capitato un libro che sembra scritto con la pancia.

Umami, della scrittrice messicana Laia Jufresa, è un libro che sfugge a qualsiasi logica, infatti non ha un inizio e non ha una fine, così come non ha una sequenza temporale costante. Un libro corale dove conosciamo la vita di alcune persone che, per casualità, vivono nello stesso comprensorio, con il giardino in comune.

Storie diverse, lutti, speranze, misteri, domande: c'è un po' di tutto in questo libro, così come non c'è niente. Non c'è un episodio scatenante, o un evento da cui si parte per seguire un filo logico. Ci sono delle persone di cui approfondiamo - pagina dopo pagina - le singole vite.

È un libro bello? È un libro brutto? Lo consiglieresti? Non so veramente rispondere. È sicuramente particolare e in alcuni tratti commovente, quello sì.



17 agosto 2020

Montecampione 2020

Estate strana, questa del 2020. Soprattutto a causa del Covid, che ha cambiato alcune abitudini degli italiani. Molti sono rimasti in terra nostrana, un po' perché all'estero la nostra presenza non era gradita, in quanto focolaio dell'epidemia, un po' perché la paura ti fa stare vicino a casa.

Dal canto nostro, noi abbiamo rinunciato alla tradizionale vacanza in Sardegna, perché fino a inizio giugno non si capiva bene se si poteva approdare in terra sarda e con che modalità. Così abbiamo investito i soldi di quella vacanza in un'altra e finalmente, dopo anni e anni di tira e molla con Dalia, abbiamo fatto la nostra prima vacanza estiva in montagna.

"E come hai fatto a convincerla?" chiederete voi. In realtà tutto nasce dai problemi di socialità (non gravi, per carità) di nostra figlia Anita. Abbiamo pensato che inserirla in un gruppo di ragazzi già esistente, grazie alla presenza dirompente di Valentina, sua amica nonché figlia del mio storico amico Gabriele, sarebbe stato un tentativo che valeva la pena percorrere per sbloccarla. E così fortunatamente è stato. 

Insomma sono state due settimane abbastanza serene (nonostante nella prima delle due io abbia dovuto lavorare) come speravo, in memoria delle vacanze in Trentino che facevo con la mia famiglia quando eravamo piccolini. Gite all'aria aperta, tante attività sportive e buona compagnia. E anche parecchio mangiare e bere, ovviamente. 

Le mie figlie mi hanno chiesto almeno una decina di volte se l'anno prossimo ci possiamo tornare. Rimane da convincere la moglie.



01 luglio 2020

in treno

Oggi primo viaggio in treno sulla tratta Milano - Bergamo. Fino a metà giugno ho lavorato da casa, poi ho presenziato in ufficio un po’ a singhiozzo, e in quei casi sono andato con la macchina. 
Da oggi 1° luglio ho deciso di risparmiare un po’ di soldi e di usare il treno. Ho fatto l’abbonamento alla stazione di Lambrate (con una facilità che non mi aspettavo) e 

Devo dire che i viaggi in treno mi sono sempre piaciuti, specialmente la mattina. Lo trovo un modo per iniziare la giornata con calma, magari leggendo in libro, ma anche solo guardando fuori dal finestrino e riordinando un po’ le idee.
Il milanese imbruttito che è in me mi ha fatto tirare fuori il computer e infatti sto scrivendo con il portatile sulle ginocchia. Mi sento molto manager. Sono pure riuscito ad attivare l’hotspot del mio telefono Samsung (che per me è ancora un aggeggio sconosciuto) e mi sento molto figo.

Comunque, per festeggiare questa nuovo capitolo della mia vita, giustamente piove. Sennò era troppo facile.

07 giugno 2020

la Schiuma dei Giorni

La Schiuma dei Giorni è un libro del dopoguerra, esattamente del 1947, scritto da Boris Vian ed è considerato un romanzo di quelli "da leggere". È un libro divertente, surreale e slegato da ogni convenzione che la letteratura imporrebbe, specialmente quella di metà del 1900.

Mi ha ricordato i giorni del liceo in cui, con l'amico Giorgio, ci divertivamo a scrivere cose senza senso e sconnesse tra di loro. Ero un nostro passatempo, un divertissement, senza alcuno scopo.
Leggendo le prime pagine de La Schiuma dei Giorni ho avvertito lo stesso senso di leggerezza e di volontà di divertirsi.
Cosa ne fa dunque un romanzo considerato di culto (mentre le nostre rimarranno sempre delle boiate)? Forse i fattori sono due.

Il primo è che questo romanzo non è del tutto "senza senso": mentre si procede nella lettura si avverte la critica a diversi aspetti della vita parigina, dalla guerra alla religione, fino addirittura al mondo intellettuale di cui Parigi si è sempre fatta vanto.

Il secondo è che lo stile della scrittura va di pari passo con l'evoluzione della storia: per cui se all'inizio - dove il protagonista è innamorato - è tutto un'invenzione di ricette culinarie assurde e situazioni surreali, verso la fine - in cui la situazione si fa drammatica - la scrittura si fa più asciutta e cupa.
Non solo, mentre il dramma si consuma, le cose materiali cambiano: la casa si stringe, le persone invecchiano precocemente, ecc.
Se questo libro fosse un quadro, probabilmente sarebbe un Dalì.



23 maggio 2020

post triste sulla figura paterna

È passato quasi un mese da che mio padre ha subito un intervento al cuore. O meglio: era entrato all'ospedale per una visita di controllo e non è più uscito. L'hanno trattenuto e poi spostato in una clinica specializzata per un'operazione urgente a una delle valvole cardiache che aveva deciso di non funzionare più.
L'operazione è andata bene e uno pensa "ok, il più è fatto". In realtà durante la degenza post-operatoria e poi la riabilitazione, le conseguenze di un intervento così importante su un uomo di 80 anni si sono fatte sentire parecchio. È anche riuscito a cadere e rompersi un spalla, con ulteriori conseguenze negative sul fisico e sull'umore.

Insomma, è un po' di anni che avrei dovuto accorgermene, ma adesso è inequivocabile: mio papà è vecchio. Non sto dicendo anziano, in là con l'età, dico proprio vecchio.
Ed è una cosa che, per qualche dinamica mentale che mi sfugge, io non sono mai riuscito ad accettare.
Negli ultimi anni si è fatto curvo, trascina i piedi, ripete le cose, si addormenta (e russa) ogni volta che tocca il divano. E questa cosa mi urta terribilmente. Vorrei che d'un colpo mio padre tornasse... chessò... sessantenne. Vivace, attivo, brillante.

Sicuramente uno psicologo saprebbe spiegare nel dettaglio i motivi di questa mia reazione. Io posso solo vedere come ai miei occhi venga meno la figura paterna, autoritaria, severa ma integerrima che mi ha accompagnato per tanti anni. E non mi dà fastidio il fatto che si stia avvicinando alla morte; ho messo in conto da anni che mio padre un giorno non tanto lontano morirà. Mi irrita come ci sta arrivando.

Oggi finalmente è tornato a casa e mia sorella ha fatto un video dell'incontro dei miei genitori dopo un mese di lontananza (penso che dal matrimonio in avanti, non si siano separati per più di un paio di giorni).
In quel video mio padre ha una sorta di crollo di nervi e a un certo punto si mette a piangere. Io non l'ho mai mai mai visto piangere in tutta la mia vita. Questa cosa mi ha scosso a tal punto che non sono neanche riuscito a finire di vedere il filmato: come ha iniziato a piangere, ho spento il telefono.
Perché ho tutte queste difficoltà ad accettare che mio padre stia invecchiando? Magari qualcuno di voi mi sa aiutare.

07 maggio 2020

c'era una volta la cucina

Da buona casalinga, la cucina è sempre stata il mio regno. Ed è sempre stata l'unica stanza che bene o male manteneva un suo ordine.
Poi è arrivato il corona virus e con esso le lezioni online. E Anita ha scelto la cucina come suo angolo studio dove seguire le lezioni e fare i compiti.
Come dicono gli americani, it's over.


01 maggio 2020

delle serie tv e delle incazzature che mi prendono

Ho terminato quasi in contemporanea la quarta stagione de La Casa di Carta e la terza di Atypical.
E vabbè, la differenza salta subito all'occhio, o forse dovrei dire che salta subito al mio sistema nervoso: la prima mi fa incazzare, la seconda mi rilassa.
E non mi sto riferendo al plot narrativo, perché una parla di una rapina e l'altra è una (atipica, appunto) family comedy. Sto proprio parlando del fatto che La Casa di Carta non vedevo l'ora che finisse, mentre Atypical vorrei che non finisse mai.

Nell'ormai vastissimo mondo delle serie tv si stanno delineando dei prodotti che nascono apposta per farti rimanere incollato allo schermo e per farti dire "no, adesso come faccio fino alla prossima stagione?".
Prendiamo l'esempio de La Casa di Carta, appunto. Le prime due stagioni - totale 22 episodi - potevano tranquillamente essere concentrati in una decina di episodi, e sarebbe stata una serie molto figa.
Non vivo sulla Luna, conosco anche io le regole del marketing, quindi a malavoglia cedo e mi guardo tutte e 22 le puntate, con punte di noia mista a insofferenza, ma vabbè.

Quando esce la terza stagione, un po' riluttante la guardo. L'incipit è bello, devo ammettere, ma poi la qualità scende e mi ritrovo a dover aspettare la quarta stagione per vedere come finisce el atraco.
Insomma arriva 'sta quarta stagione, me la vedo tutta, nonostante alcuni irritanti risvolti stile "Beautiful", e quando arriva alla fine cosa scopro? Che la rapina non è finita e devo aspettare la quinta stagione!
La sensazione di sentirsi presi per il culo è veramente tanta.

hanno pure riesumato Berlin, morto nella seconda stagione, l'unico personaggio veramente interessante.

Insomma, per vincere la noia della serie spagnola, mi sono guardato in parallelo la terza stagione di Atypical. E lì finalmente mi sono riconciliato con le serie tv.
Perché se da una parte, come dicevo, ho la sensazione di essere un rincitrullito, che gli sceneggiatori prendono per il culo a loro piacimento, nella family comedy in oggetto, mi sento a mio agio.
I personaggi sono tutti veritieri, con pregi e difetti talmente poco mascherati che ogni tanto hai la sensazione che non sia recitata, ma abbiano messo delle telecamere nascoste nella casa di una reale famiglia americana.

È una famiglia dove si sbaglia, si impara, e magari si sbaglia di nuovo, ma - santoiddio - chi non ha mai ripetuto un proprio errore nella sua vita.
E ti sembra di essere il loro vicino di casa, perché arrivi a conoscere tutti così bene che vorresti vederne una puntata ogni giorno. E talvolta impari anche con loro, perché certe scene ti fanno pensare alle scelte e ai comportamenti che hai fatto e ti porti appresso nella tua vita di tutti i giorni.
La terza serie l'ho adorata, forse anche più delle prime due. O forse solo perché la vedevo in contemporanea con La Casa di Carta e la differenza di voglia di vedere una nuova puntata era così differente che me l'ha fatta apprezzare di più.


Sam e Casey: fratelli talmente veri nelle loro reazioni, prese per il culo, litigi, che non si può che fare un plauso agli attori e al regista.

13 aprile 2020

i dischi della mia vita - born to run (1975)

Ogni tanto ho bisogno di riascoltarmi Born to Run, non so bene perché.
Sarà perché è il primo disco che abbia mai ascoltato di Bruce Springsteen.
Sarà perché è l'unico disco del Boss che non mi stanca mai.
Sarà perché è uno degli ultimi dischi di Bruce che è ancora tutto genuino.
O sarà anche per quella copertina magnifica che, quando la aprivi, si componeva di un'immagine a due (dove l'altro è Clarence "Big Man" Clemons) che ispirava una simpatia congenita.
No, quest'ultima cosa non c'entra niente, perché, quando l'ascolto, lo ascolto e basta.

Ma torniamo all'origine: io nel 1975 mica c'ero.
O meglio, c'ero ma ascoltavo al massimo i Matia Bazar o i Pooh. D'altronde avevo solo 5 anni, che pretendete?
M'imbattei per caso in questo disco nella Biblioteca di Celle Ligure.

Dovete sapere che all'inizio degli anni '80 ci fu questo evento straordinario: l'apertura della biblioteca di Celle, appunto. Si trovava nei locali della scuola elementare ed era costituita da 2 stanze di dimensione abbastanza ridotte. C'erano pochi libri, ma  - meraviglia inaspettata - c'era uno stereo, con delle cuffie attaccate. (d'altronde in biblioteca si sta in silenzio)
E all'interno del classico mobiletto nero dello stereo, al piano più basso, c'erano una trentina di LP.
All'epoca io ovviamente non possedevo uno stereo, ne' tantomeno delle cuffie con cui isolarmi e ascoltarmi la musica per i cavoli miei, quindi - nei giorni successivi all'apertura, mi ascoltai alcuni dei dischi presenti. Quando arrivai a Born to Run, beh, l'innamoramento fu immediato.
E non avete idea di quante volte tornai in biblioteca solo per ascoltare quel LP. Mi ricordo ancora di una volta che alzai lo sguardo e vidi la bibliotecaria che rideva sotto i baffi e mi fece segno di fare silenzio, col classico gesto dell'indice davanti alla bocca. Chissà che suoni scomposti stavano uscendo dalla mia bocca in quel momento.

Penso sia prerogativa solo dei grandi artisti riuscire a realizzare qualcosa che sia al tempo stesso orecchiabile, ma che cresce con il passare degli ascolti. Eh, beh, direi che Bruce nel 1975 ci riuscì in pieno.
D'altronde un disco che comincia con "Thunder Road"...


12 aprile 2020

ogni mattina a Jenin

Tra le tante lacune che ho nel mio patrimonio culturale compare anche quella sull'eterna guerra Israele-Palestina, lacuna anche abbastanza grave, visto che è avvenuta a non molti chilometri dall'Italia.
Potrei a questo aggiungere una nota ironica, ovvero che ho scioperato talmente tante volte per la situazione palestinese, quando ero al liceo, che qualcosa dovrebbe essermi rimasta in testa. In realtà, penso come per molti altri, per me era solo una scusa per saltare scuola.

Certo, crescendo qualche cosa si impara e le occasioni di approfondire un qualsiasi tema, dall'approdo di internet in avanti, sono sempre presenti, quindi non sono totalmente all'oscuro di quanto successo in quelle terre.
Ma sentirselo sbattere in faccia con un racconto diretto, beh, quella è un'altra cosa. Tanto che anch'io come Amal, la protagonista di Ogni Mattina a Jenin mi sono trovato a chiedermi: "come può il mondo permettere che questo succeda?"

Insomma, questo è un libro tanto bello quanto struggente. All'inizio ho fatto un po' di fatica a entrarci con la testa, ma poi sono stato assorbito completamente. Ovviamente non è un libro facile: ti ritrovi davanti a tanti di quegli orrori e a situazioni assurde, che bisogna avere lo stomaco forte, per poterle affrontare. Però lo consiglio vivamente, soprattutto a coloro che hanno bisogno di un ripasso di storia contemporanea.
Piccola precisazione doverosa: essendo in buona parte un racconto in prima persona, la visione della storia non è imparziale.


03 aprile 2020

la primavera del coronavirus

Questo inverno/primavera 2020 passerà alla storia per la pandemia che ha colpito il mondo.
Il Covid 19, meglio conosciuto come "coronavirus" si è abbattuto sull'Italia con un impatto che nessuno si aspettava.
Attualmente le scuole sono chiuse da più di un mese e gli uffici già da 3 settimane hanno dato via al famoso smart working per far rimanere a casa le persone e limitare così il contagio.

Inizialmente la questione era stata presa un po' sottogamba, specialmente da chi abita nel centro e nel sud Italia, le zone meno colpite dalla malattia.
Anche i miei genitori, in Liguria, hanno continuato a fare la loro vita, quasi regolarmente.
Penso che il vero scossone sia arrivato un paio di settimane fa, quando nei TG e in rete circolavano le immagini di alcuni camion militari che trasportavano centinaia di bare dall'Ospedale di Bergamo verso i forni crematori. Lì, improvvisamente, la gente ha capito che non c'era più tanto da scherzare con il virus. E così sono iniziate le restrizioni.

La nostra famiglia vive quindi un periodo particolare. Come tutti del resto.
Dalia e io lavoriamo da casa (io ho iniziato il nuovo lavoro) e le ragazze seguono le lezioni online. Fortunatamente abbiamo due tablet e due computer, quindi riusciamo ad avere ognuno il proprio supporto elettronico.
Rigorosamente chiusi in casa, esco solo io una volta alla settimana per fare la spesa, munito di mascherina e guanti. Una scena da filmone apocalittico americano. Chi l'avrebbe mai immaginato.

Stranamente l'atmosfera è serena. Fatta eccezione per qualche sbalzo ormonale di Anita (sempre più vicina ai 14 anni) riusciamo a tenere il morale abbastanza alto.
Si sfornano biscotti e torte ormai di pregevole fattura, si guardano film e ogni tanto si gioca ai giochi di tavolo tipo Pictionary.

E basta. Non ho nessun aneddoto da raccontare, nessuna situazione particolare...
Sento solo il bisogno di lasciare un ricordo di questi mesi su questo diario. Nonostante sia tutt'altro che un assiduo scrittore di questo blog, è un periodo troppo importante per lasciare questo spazio vuoto.

in foto: i buonissimi biscotti di Elena.

01 marzo 2020

altra giostra, altro giro

La vita non smette mai di sorprendermi. E anche di mettermi alla prova.
Se non fosse stato per il link che mi ha mandato l'amico Guglielmo, mai avrei immaginato di rispondere a un annuncio di lavoro con sede a Bergamo.
Ma "si fa sempre in tempo a dire di no", diceva Mina (un'altra amica, di cui purtroppo ho perso le tracce) quindi ho deciso di mandare il curriculum.
E quando con mia grande sorpresa mi hanno chiamato per un colloquio, mentre mi recavo a Bergamo, continuavo a ripetermi "ma cosa ci vado a fare?".

Una volta dentro l'agenzia, tutto è cambiato: un ambiente friendly, molti progetti e tanta voglia di fare mi hanno colpito come uno schiaffo.
Quando sono uscito, complice una giornata di sole meravigliosa, ero fermamente convinto di voler lavorare lì.
E insomma, per farla breve, tra una ventina di giorni comincio in un nuovo posto, con altri colleghi e altri stimoli, addirittura in un'altra città. Cosa mi riserverà il futuro non ne ho idea.
Però bisogna un po' buttarsi, no?


03 febbraio 2020

Fede

Addio Federico. È stato veramente un piacere conoscerti e frequentarti per così tanti anni.
Questa sarà sempre la canzone che mi ricorderà te.



Mi mancherai, babbuzzi.

08 gennaio 2020

Santa Maria dei Fiori Neri

Cile 1907. Stanchi dei soprusi subiti e della vita infame, un gruppo di lavoratori delle miniere di salnitro decide di scioperare pacificamente e si incammina verso la città di Iquique per rivendicare una paga e un trattamento più umano.

Questo in estrema sintesi il riassunto di Santa Maria dei Fiori Neri, un romanzo di Hernan Rivera Letelier, ispirato a dei fatti realmente avvenuti poco più di un secolo fa. Un libro amaro che ci ricorda che ci sono cose per cui vale la pena interrompere qualsiasi cosa si stia facendo e mettersi a lottare. Anche pacificamente, ma lottare. 

Anche ai giorni nostri, ormai, stiamo assistendo a una fase storica in cui il capitalismo sta mostrando tutti i suoi limiti. Purtroppo siamo talmente assorbiti dalle nostre vite quotidiane e abbiamo accettato ogni compromesso, tanto da far passare in secondo piano quello che ci spetterebbe: una vita più dignitosa. Questo libro ce lo ricorda.