Otis è un ragazzo molto timido e parecchio imbranato, che vive in una bellissima casa insieme alla madre separata. Al contrario, Maeve è una ragazza spigliata e molto diretta, con una famiglia difficile alle spalle. Insieme saranno la “strana coppia” che si occupa dell’educazione sessuale dei ragazzi che frequentano il loro stesso liceo.
Detta così sembrerebbe un campionario
di stranezze e confidenze di un gruppo di adolescenti (cosa che in parte c’è, per il
divertimento del pubblico). Ma "Sex Education" va al di là di questo e ci mostra la vita, gli amori, le debolezze e le avventure della nuova generazione di adolescenti.
E perché dovreste vederlo? Potrei sbrigarmela facile con un "a me è piaciuto", ma la realtà è che abbiamo bisogno di emozioni e non c'è un'età fragile e sensibile come l'adolescenza per rivivere quello che è stato il nostro periodo di maggiore crescita sia caratteriale che fisica.
Ma perché dovreste vedere proprio questo teen drama e non un altro? perché ha grandi momenti di ilarità ma anche diverse scene in cui ci si commuove. O forse perché c'è in mezzo di tutto: verginità, omosessualità, gravidanze indesiderate, bullismo, e tanto altro. Ma anche perché per una volta non ho avuto la sensazione di "brodo allungato" che diverse serie mi comunicano.
Passando al lato tecnico: regia impeccabile, fotografia perfetta e interpreti tutti bravi. Una menzione speciale va a Gillian Anderson (ve la ricorderete tutti in X-Files), psicanalista e sessuologa, nonché madre di Otis, in una parte fenomenale.
Il nuovo disco dei Rival Sons è una bomba. Già.
Non so se sia il passaggio alla nuova etichetta, oppure il completamento di un percorso di maturazione artistica o non so cos'altro, fatto sta che Feral Roots è una bomba.
Mi piacerebbe argomentare meglio, spiegarvi nei dettagli il perché, ma non sono un critico musicale, sono solo un appassionato di musica (rock, soprattutto) e posso dire che sin dal primo ascolto la nuova fatica del quartetto di Long Beach mi è apparsa come la punta più alta della loro carriera.
Lo ascolto oramai da due settimane, almeno una volta al giorno e non ci ho trovato una canzone brutta. O meglio: non riesco a trovarne una preferita, perché cambio di giorno in giorno.
"Do you worst", il singolo che ha anticipato l'album, l'avevo archiviata nella mia testa un po' troppo facilmente, perché mi sembrava molto o addirittura troppo simile a quanto fatto dalla band fino a questo momento.
Ma con l'album, ecco arrivare delle cannonate come "Sugar on the Bone", "Back in the Woods" o "Too Bad" e ti scappa un "porca troia" dalla grinta e dall'intensità di ciascun pezzo.
E vi dirò di più: le cosiddette ballad, che skippo con estrema facilità nei dischi rock, mi piacciono da impazzire.
Per me disco imperdibile.
Potrebbe sembrare un paradosso, però, nonostante io guardi un sacco di serie tv, ho difficoltà a trovarne una che veramente mi coinvolga. Quelle proprio che non vedi l'ora di vederne la puntata successiva. Mi manca la sensazione che ti dava Game of Thrones quando dicevi "no, e adesso come faccio ad aspettare una settimana?".
Un po' penso sia colpa del binge watching; un po' forse sono le troppe ore di visione, per cui diventa sempre più difficile trovare qualcosa che si erga veramente dal mare della mediocrità.
In una moltitudine di serie più o meno carine, secondo me Goliath merita un plauso.
Il protagonista è Billy Bob Thornton, attore che io adoro, che interpreta un ex avvocato di grido, nonché fondatore di un mega studio legale, che oramai si dedica solo a piccoli casi.
Finché un giorno non si deve scontrare proprio contro la sua ex azienda nonché contro il suo ex socio (William Hurt) e la sua ex moglie (Maria Bello). Questo vagamente il sunto della prima stagione.
Nella seconda lo incontriamo dopo un po' di tempo, ritirato quasi a vita privata, ma che non può esimersi dall'aiutare un amico, il cui figlio si trova in grossi guai.
Ecco, la seconda stagione secondo me è molto meglio della prima, perché si allontana un po' dal legal drama classico e si sposta più sul lato personale, sugli affetti e sulla personalità del protagonista.
E Billy Bob, con la sua faccia vissuta, è l'interprete perfetto. Si soffre insieme a lui e ci si affeziona al suo mondo strampalato.
Due stagioni di 8 puntate da un'ora scarsa ciascuna, che secondo me vale la pena vedere.
Se avete Amazon Prime Video non dovete neanche fare lo sforzo di scaricarlo.
Poco prima di Natale è uscito "Bohemian Rhapsody", il film su Freddie Mercury, ed è stato un gran successo al botteghino, tanto che fra poco, mi hanno detto, uscirà pure la versione "karaoke" del film, in cui - nei momenti musicali - si potranno cantare le canzoni insieme ai Queen.
Lasciando perdere il senso di schifo che mi dà l'idea di una sala con 200 pecoroni che cantano insieme canzoni strafamose (non è quello che forse faccio anche io ai concerti???), devo dire che ho sempre avuto un problema coi Queen. Ed è difficile parlarne senza sembrare snob.
Avendo due fratelli più grandi, la mia formazione musicale è stata un po' prematura rispetto a quella dei miei coetanei. I primi 33 giri che sono entrati in casa mia erano dei Dire Straits, quando avevo 10 anni. E per la musica, così come per il cibo, o altro, il gusto si sviluppa, si evolve, esplora.
Quindi a 14/15 anni ascoltavo i Pink Floyd, gli Iron Maiden, gli AC/DC, gli U2. Anche tanta rumenta, per carità, non lo nego.
Però - fatto salvo per poche canzoni - i Queen li ho sempre trovati troppo pop e pure molto furbetti.
E così, nel periodo in cui godevo a sentire le chitarre distorte e i riffoni di chitarra, le canzoncine tipo "We will rock You" o "We are the Champions" mi sembravano delle gran paraculate.
Non mi dispiacevano gli assoli di Brian May, per carità, ma - prima ancora di saper dell'esistenza del marketing - tutte quelle strizzatine d'occhio al pubblico, con i ritornelli facili da cantare non mi sono mai piaciuti. Mi vantavo di essere più duro e puro.
Ricordo quando uscì "Radio Ga-Ga", probabilmente una delle canzoni più brutte che abbia mai sentito ad opera di un gruppo rock, che veramente ebbi un moto di schifo. Quando passava alla radio, abbassavo il volume o cambiavo stanza (cambiare stazione non era contemplato).
Insomma, tutto questo per dire che ho seguito attentamente la carriera dei Queen, ma sempre da lontano, senza che entrasse nel mio spettro musicale.
E adesso che con questo film vengono ancora più osannati dal grande pubblico, io guardo tutti dal mio piedistallo snob, e dico: "bah, musica per chi non ne capisce".
E così, come se niente fosse, ricomincio a scrivere sul blog. Sarò costante? Riuscirò a trascrivere qua la valanga di pensieri e avvenimenti che mi succedono? Sinceramente sono abbastanza pessimista a riguardo, però non si sa mai.
Il primo pensiero è che peggio dell'anno scorso - con ben un unico post - non posso fare, anche perché con questo che sto scrivendo ho già pareggiato i conti.
Cosa è successo in questo ultimo anno? Tante cose, ma niente di particolarmente strano.
Sicuramente l'ha fatta da padrone Anita e la sua preadolescenza. Ma questo è un discorso lungo e difficile da trattare.
Il lavoro continua, benché sempre più precario.
Insomma, per farla breve non è stato un gran periodo e le premesse non sono proprio eccellenti; ma chissà che questo 2019 non mi riservi qualcosa di inaspettato e di positivo.
Avevo giurato a me stesso che - dopo la dipartita di Layne Staley - non avrei più ascoltato gli Alice in Chains, in qualsiasi veste si fossero (eventualmente) ripresentati sulle scene.
In effetti, quando nel 2013, pubblicarono "Black gives Way to Blues", li snobbai senza pensarci troppo su, nonostante i pareri positivi riscontrati da amici o su riviste specializzate.
Poi uscì "The Devil put the Dinosaurs here" e - non ricordo come e perché - ma lo ascoltai e me ne innamorai.
Cioè, si sente che sono gli Alice in Chains: il suono e le melodie, sempre state appannaggio di Jerry Cantrell, sono vive e vegete. Manca la voce di Layne, ma il risultato è più che soddisfacente.
Ora è uscito il singolo di quello che sarà il nuovo album (uscita da definire) ed è una bomba: ce l'ho in testa da un paio di settimane e mi piace un casino.
Insomma, se un nuovo gruppo che viene fuori dal nulla facesse un singolo così, sarei entusiasta.
Onore a Cantrell, quindi, che è riuscito nel difficile intento di rimettere in piedi gli Alice in Chains senza far patire troppo i nostalgici (come me) e portare avanti la sua idea di musica.
E così, per il terzo anno di fila, mi trovo a trascorrere Natale tra le lenzuola, perché con una regolarità imbarazzante mi becco la febbre. Si potrebbero fare diverse battute a riguardo, dalle più scontate tipo "non hai più il fisico", alle caratterizzazioni regionali tipo "sei talmente genovese che quando devi spendere dei soldi per i regali, il tuo corpo non regge". Ve le concedo tutte e anzi, se ne avete di belle, scrivetemele pure.
La verità è che - come sa benissimo chiunque - il periodo prenatalizio è particolarmente intenso, sia lavorativamente che per gli impegni vari. Quest'anno sono stato così occupato sul lavoro che me ne sono altamente fregato del resto, ed è stato un bel sollievo: no festa della scuola, no recite, nessun saggio (per fortuna) e sant'amazon che ci ha assistito nel rifornimento regali.
Ormai son già passati cinque giorni, ma devo assolutamente trovare il tempo per dare il giusto tributo al mio motorino e alla sua prematura nonché fraudolenta scomparsa: martedì sera infatti mi sono fermato più del dovuto in ufficio e - verso mezzanotte - quando sono uscito per tornare a casa, il mio amato mezzo non c'era più.
La prima sensazione è stata quella di un vuoto totale, di smarrimento. Un secondo dopo è subentrata l'incredulità: ma chi cavolo se lo prende un motorino così scarcagnato? Ha più di 50mila chilometri e una carrozzeria non propriamente sfavillante, per non dire arruginita.
Di solito a Milano il mercato dei motorini funziona così: rubano quelli nuovi o seminuovi, li smontano e vendono i pezzi in giro. Dal mio mezzo cosa vuoi rubare? Pure il bauletto faceva schifo.
Insomma, probabilmente qualche balordo si sarà fatto un giro e l'avrà abbandonato appena finita la benzina (ce n'era pure poca, fra l'altro). Quindi il mio affezionato Liberty 125 sarà lì, abbandonato in qualche angolo di Milano, dove nessuno si accorgerà di lui, probabilmente.
Che brutta fine per il mio inseparabile compagno di avventure!
Nel panorama musicala internazionale, probabilmente il gruppo che incontra maggiormente i miei gusti musicali sono i Foo Fighters. Ho già speso parole di elogio per Dave Grohl e il suo gruppo e con l'uscita del nuovo disco, probabilmente non farei altro che confermare tutto ciò che ho scritto in passato.
In effetti Concrete and Gold, così come il precedente Sonic Highways mi piace tantissimo. E così come per il precedente, l'aspettativa è talmente alta, che il primo ascolto mi fa dire "tutto qui?".
Poi, ascolto dopo ascolto, la goduria cresce, i brani iniziano a separarsi l'uno dall'altro, trovando una propria identità e le mie orecchie accarezzano linee di basso, seconde voci e altre peculiarità che mi fanno entrare sempre più in profondità nelle melodie del gruppo americano.
La costante crescita musicale dei Foos, secondo me, si vede soprattutto in questo: la complessità delle loro canzoni. Nati dalle ceneri di quello che veniva chiamato grunge, genere che preferiva la genuinità e la grettezza dei suoni alla patinatura di alcuni gruppi musicali, con il passare del tempo le melodie si sono stratificate, i suoni diventati più complessi, ma tutto questo è successo senza perdere la potenza del rock energico.
Ascoltando questa loro ultima fatica, mi sovviene un'intervista fatta per il ventennale dell'uscita di Superunknown dei Soundgarden, in cui Dave Grohl racconta quegli anni e come tutti quelli che ruotavano intorno alla scena musicale di Seattle stessero cercando il giusto equilibrio tra le melodie dei Beatles e la "cattiveria" dei Black Sabbath. E sempre Grohl dice che, quando ascoltò per la prima volta "Black Hole Sun", lui disse "ecco, loro ci sono riusciti".
Beh, ascoltando canzoni come "The Sky is a Neighborhood", mi sembra che il buon Dave stia ancora perseguendo quell'equilibrio. E per me ci sta riuscendo alla grande.
Tra gli aggiornamenti che mi sento di fare su questo blog, sicuramente quello più rilevante riguarda l'ambito lavorativo.
Come forse ricorderete, mi sono licenziato da quella che era la mia vecchia agenzia. Ma proprio mia nel senso che ero uno dei soci. Questa separazione è avvenuta con non poco dolore ma soprattutto con parecchi rancori che mi hanno avvelenato la bile. Vi basti pensare che ancora mi capita di sognare i miei ex partner in situazioni in cui discuto e mi incazzo.
Da parte loro credo che non ci sia nessun tipo di ripensamento, purtroppo. Dico "purtroppo" non perché desidero tornare indietro, ma perché conosco i soggetti in questione e si saranno trovati mille giustificazioni pur di convincersi che abbandonarmi al mio destino era la cosa giusta da fare.
La delusione umana che ne è derivata è talmente grande che penso mi trascinerò le ferite ancora per parecchio tempo. E i miei incubi notturni non possono che avallare la mia ipotesi.
Dopo alcuni mesi a fare il freelance per vari clienti (avrei dovuto seguirne anche un paio che avevo nella struttura precedente, o almeno così mi era stato promesso e giurato, ma non se n'è visto manco mezzo e - soprattutto - nessuno mi ha chiamato per dirmi che così non sarebbe stato), ho iniziato a collaborare con alcune agenzie.
Fortunatamente questo è successo grazie ai buoni rapporti che ho sempre avuto con diversi ex colleghi. Tra le varie porte che si sono aperte quella più grande e gratificante è quella di Havas, agenzia di portata internazionale con diversi clienti di un certo spessore.
Attualmente ho un contratto con loro fino a fine anno e poi si valuterà se l'operato è stato buono e se mi rinnoveranno il contratto o diversamente mi lasceranno a casa.
Due sono le cose che mi rendono soddisfatto in questo momento, una di carattere lavorativo, l'altra di stampo personale.
La prima è che mi hanno messo nel reparto "digital", nonostante la mia esperienza in materia fosse limitata. Questo fatto mi permette di imparare un sacco di linguaggi nuovi e di venire in contatto con programmi nuovi, che sto lentamente approciando. Mi perdonerete la retorica se vi dico che il bello di lavorare in questo campo è che non ci si ferma né tantomeno ci si annoia mai.
La seconda riguarda la vita quotidiana. Una delle grandi battaglie - perse, of course - nella precedente agenzia consisteva nel cercare di creare un ambiente lavorativo piacevole, dato che (altra retorica) si passa minimo 8 ore tra le mura dell'ufficio, tanto vale farlo divertendosi. La costante ansia di un mio ex socio e le manie di controllo dell'altro, avevano reso il posto una sorta di lager, tanto che gli amici che mi venivano a trovare stentavano a credere che quella fosse un'agenzia di pubblicità.
Nell'open space dove lavoro adesso, grazie a una età media che - levando me - si aggira intorno ai 28 anni, c'è una sensazione di costante piacevole casino. Tutti si aiutano l'uno con l'altro, c'è musica, si ride e si scherza. E si lavora, pure parecchio. Ma la leggerezza con cui si vivono le giornate è impagabile.
Se volete un esempio, guardate il video qua sotto. Era un venerdì sera d'estate, verso le 19,00. Ovviamente avremmo voluto essere già tutti usciti dall'ufficio. Ma già che ci tocca lavorare, tanto vale prenderla con filosofia.
Mi dispiace abbandonare questo blog, anche se temo che presto questa cosa succederà.
Gli impegni si moltiplicano, il tempo libero scarseggia e - most of all - la mia situazione lavorativa non sa bene quale direzione prenderà, per cui ogni minuto libero lo dedico a vari corsi di aggiornamento. E quei rari giorni in cui non faccio corsi o non sto dietro alla famiglia, svengo sul letto o sul divano, magari guardando una puntata di una serie tv.
In questo turbinìo riesco a stento a dare un senso ai miei pensieri, quindi figuriamoci a metterli in un italiano decente e trascriverli qua.
Ma ci voglio provare lo stesso, proprio perché è un periodo di grandi cambiamenti e mi sembra giusto lasciare una traccia di quello che mi frulla per la testa.
Che poi in futuro non lo rileggerò mai questo è un altro discorso...
la foto non ha nessun collegamento con il post. L'ho messa così, senza motivo.
Ero preparato a pogare insieme ai ragazzini, e invece il concerto di ieri sera all'Autodromo di Monza, già dal primo arrivo mi ha riservato una sorpresa: c'era un sacco di gente sui 30/40 anni. Poi ho fatto mente locale e ho pensato che Dookie è del '94; son passati più di vent'anni. E anche i fan dell'ultima ora, insomma, dall'uscita di American Idiot sono passati 13 anni. Tanto giovincelli non devono essere neanche loro.
Sono arrivato nel prato antistante il palco che i Rancid praticamente stavano salutando. Tempo di trovare l'entrata al "Golden Circle" (quello che ho sempre chiamato "pit") e mi piazzo bene in centro, abbastanza vicino al palco, giusto al di là della schiera dei superfan. Sono soddisfatto.
Alle 21,00 in punto, come da programma, comincia il concerto in maniera assai singolare, con un coniglio gigante che sale sul palco e balla sulle note di "Hey yo, let's go" dei Ramones (fra l'altro, ho visto parecchia gente con la maglietta dei Ramones, ieri sera). Mi sfugge il perché di questa entrée, ma pazienza. Poi, sulle note dell'aria di "il buono, il brutto e il cattivo", scritta da Morricone, finalmente entrano loro tre. Che poi sono 6, perché ci sono ben tre turnisti.
Comincia il vero concerto con "Know your Enemy" e la gente impazzisce. Neanche il tempo di sparare un "Buonasera, Monza" che Billie Joe inizia coi suoi "say yeeee-oooh" per far cantare il pubblico (e alla fine dello show se ne conteranno veramente troppi). Già durante la prima canzone una ragazza sale a cantare, e - finita la sua parte - viene praticamente spinta da BJA a fare stage diving.
E niente, il concerto dura due ore e mezza ed è tutto così: coinvolgimento del pubblico (ben tre saliranno sul palco a cantare/suonare), adrenalina a palla e musica a ritmo serrato, eccezion fatta per le ultime due canzoni "Ordinary World" e "Good Riddance (time of your life)" eseguite in acustico dal solo cantante.
Mentre torno a casa, penso che sicuramente è stato un concerto imperdibile. Ma soprattutto uno spettacolo, perché - se si può muovere una critica al trio californiano - tanto la musica è bella e coinvolgente, quanto loro rendono il tutto un baraccone composto di luci, suoni, esplosioni un po' sopra le righe. Mi sono divertito un sacco, per carità, ma andava bene anche una cosa un po' più contenuta.
Tre giorni fa c'è stato il saggio della scuola di danza di mia figlia Anita. La "Dancehouse" ha due tipi di corsi: danza classica e danza acrobatica, chiamata Kataklò, che poi è quella che pratica Anita da ormai 4/5 anni.
Per la prima volta in vita mia non mi sono annoiato a un saggio, perché lo spettacolo è stato veramente carino. Hanno rappresentato Mary Poppins, alternando i due stili di danza e consentendo ad ogni alunno, anche i più piccolini, di avere il proprio spazio su un palco notevole quale quello del Teatro Nuovo di Piazza San Babila, a Milano.
In tutto ciò, Anita interpretava uno degli spazzacamini nella scena del ballo sul tetto, calcando il palco per 4/5 minuti su un'ora e mezza di rappresentazione.
Ecco, proprio a causa dell'esiguo minutaggio, non mi sono premurato di invitare parenti e amici vari, perché parto sempre dal presupposto che non gliene possa fregare di meno e che magari si sentano obbligati a venire. Sia chiaro: alla fine dello show ero orgogliosissimo di mia figlia. Ma è mia figlia, non quella di altri. Quindi allo spettacolo eravamo Dalia, Elena e io.
Poi succede che finito il tutto andiamo a mangiare qualcosa lì vicino, insieme alla cuginetta, che faceva parte pure lei dello show, insieme ad Anita. E lì mi salta all'occhio la differenza. A vedere la cuginetta c'erano: i genitori, gli zii, una nonna, un'altra cugina, la migliore amica e la bellezza di 3 - dicasi tre - tate, di cui una con il fidanzato. Un rapporto di 3 (noi) a 11 (loro).
E io che mi sento sempre in difetto nei confronti del mondo ho subito pensato "vedi, se mia figlia non è abbastanza sicura di sé, è colpa mia che non ho valorizzato abbastanza la sua performance agli occhi degli altri". Anche perché dovevate vedere la scena: c'era questa tavolata lunga, con noi 4 relegati in un angolino, mentre la cugina era al centro del lato lungo e (sarò sicuramente io che ho una visione parziale delle cose) sembrava la vera star della serata, con tutti che le facevano i complimenti, eccetera.
A prescindere dal fatto che uno fa il cazzo che vuole e invita chi vuole allo spettacolo della figlia, mi chiedevo quale sia la linea che demarca la sicurezza di sé dall'egocentrismo. Quanto è giusto fomentare la sicurezza in se stessi e fino a che punto?
Visto che uno cerca sempre di migliorarsi e di non ripetere gli errori dei genitori (* su questa ci torno presto), cerco costantemente di capire come fare in modo che mia figlia non sia un'insicura, senza farle credere che è al centro del mondo, cosa che normalmente a 10 anni già credono di essere.
Ci sono voci che ti infastidiscono e voci che ti scaldano il cuore già dal primo ascolto.
Conosco un sacco di gente irritata dalla voce di Carmen Consoli, per esempio. Così come c'è una mia amica che non può ascoltare i Muse a causa del timbro vocale di Matt Bellamy.
Al contrario, io adoro James Mercer già dalla prima volta che ci siamo "incontrati". La sua vocina indie mi culla verso un mondo parallelo fatto di calma e piccole gioie. Musicista molto interessante e autore di liriche spesso ironiche, il buon James trova nei The Shins il suo megafono favorito, essendone il compositore e ormai anche l'unico produttore nel nuovo lavoro "Heartworms".
Il disco - come il precedente "Port of Morrow" - per alcuni versi risente delle influenze elettroniche che Mercer ha percorso con il suo amico Danger Mouse nel progetto Broken Bells, come per esempio in "Cherry Hearts", la mia traccia preferita, o in "Dead Alive", che sembra proprio un pezzo dei BB.
Dall'altro lato, invece, per le ballate, si adagia sulle sue radici indie folk, come in "Middlehall" o nella title track "Heartworms".
Nel complesso un disco bello bello, che mi accompagna quotidianamente ormai da un paio di mesi.
E niente, se n'è andato. Non si capisce ancora come sia potuto succedere, ma se n'è andato.
Ho sperato a lungo si trattasse di una bufala, perché stamattina proprio non me ne capacitavo, ma ormai la notizia è confermata.
Non sono bravo a scrivere epitaffi e in effetti non so perché sto scrivendo queste righe. Ma mi sembra impossibile non rendere omaggio a uno dei più grandi personaggi che la musica rock abbia avuto negli ultimi anni.
Quando mi chiedevano "che dono di natura vorresti avere?" ho sempre risposto "la voce di Chris Cornell negli anni '90". Ma in realtà quello che più gli ho invidiato era la capacità di scrivere canzoni magnifiche una via l'altra: con i Soundgarden, con gli Audioslave, ma anche da solo.
Mi mancherai veramente tanto, Chris. Ma proprio tanto.
Inizia tutto con un delitto, ma non ci è dato sapere chi sia morto. Però conosciamo il contesto: un evento di raccolta fondi per la scuola elementare.
Ed è proprio dal primo giorno di scuola che parte il flash back che ci accompagna per 7 puntate: una storia che ruota intorno ai bambini, ma soprattutto intorno alle madri e alle loro avventure, frustrazioni, competizioni in una società che ha fatto delle apparenze lo scopo principale.
Ma come ben sappiamo, dietro a tali apparenze c'è un mondo che cade a pezzi: Madeline (Reese Whiterspoon) è convinta di essere sempre nel giusto, anche laddove sbaglia palesemente; Celeste (Nicole Kidman) ha abbandonato la carriera suo malgrado per dedicarsi a figli e marito; e Jane (Shailene Woodley), madre single dal passato oscuro, vive con una pistola sotto il cuscino.
Beh, che ci crediate o no, con i loro pregi ma soprattutto con i loro difetti, queste tre donne diventeranno le vostre migliori amiche. E quando le sette puntate di Big Little Lies finiranno, queste tre donne vi mancheranno parecchio. O almeno così è successo a me.
Provo una naturale simpatia per Ed Sheeran, non so perché. Forse a causa di quell'aria da ragazzino un po' impacciato, chissà.
Lanciato sulla scena musicale dalla sua "Thinking out loud", rischia di finire nel purgatorio dei tanti artisti di cui ci si ricorda solo per un unico brano.
Così mi sono messo ad ascoltare il suo nuovo lavoro, che si chiama semplicemente "÷", per capire se approfondire la sua conoscenza o lasciarlo lì tra gli incompiuti.
La prima sensazione è quella di uno che non ha ancora deciso quale percorso seguire, perché il disco è abbastanza eterogeneo. Che potrebbe essere un bene, in generale. Ma nel suo caso a me sembra più un disturbo bipolare della personalità. Per esempio nel primo brano Sheeran inizia facendo uno speech, e prosegue rappando. Seconda canzone: pieno pop.
Oppure più avanti si hanno due canzoni di seguito in cui nella prima, "New Man", usa il synth e il canto viene scratchato. Nella successiva "Hearts don't Break around Here", invece si ritorna all'Ed Sheeran chitarra, voce e testo smielato, tipo la canzone che l'ha lanciato.
Insomma, è un brutto disco? No, assolutamente. È carino e si lascia ascoltare. In questo senso si potrebbe definire molto pop. Però, se avesse le idee un po' più chiare, le contaminazioni tra generi diversi potrebbero essere più interessanti. Riprovaci, Ed.
Musicalmente sono un rompipalle, lo so. Contesto spesso i gusti degli altri, Mi trovo sempre nell'antipatica situazione in cui cerco di fargli capire come ragiono io e come invece gira il business musicale. Classico esempio: la gente celebra la voce (magnifica, sia chiaro) di Freddie Mercury e io dico "guarda, bravissimo, ma non mi smuove un'emozione". Dopo che ho smontato due o tre gruppi che seguono più il marketing che non la passione, arriva la classica domanda "vabbè, ma tu che musica ascolti?" E io faccio sentire questa.
La gente non capisce, ma non mi interessa. Per me rimane un capolavoro.
No, non stiamo parlando di pancetta o di capelli che ingrigiscono. Quelle sono cose che succedono a chiunque.
Quali sono i sintomi che vi fanno sentire che state cambiando?
Vi dico i miei, siete liberi (se volete) di aggiungere i vostri nei commenti.
5 puntualità - ho cominciato ad arrivare puntuale ai matrimoni o in stazione, laddove mi sono sempre contraddistinto per il ritardo e le corse; 4 cosmetica - ebbene sì: ho comprato una crema per il viso; 3 parlo ad alta voce - come i vecchi in mezzo alla strada, esatto; 2 ombrello - cosa? lo devo confessare: per la prima volta in vita mia ho comprato un ombrello; 1 aperitivo - l'altroieri ho preso un aperitivo senza mangiarmi tutto il buffet e ho bevuto solo un calice di vino rosso. E non ero malato.
outsider, la inserisco se non è mia, ma l'ha detta un mio amico e mi ha fatto troppo ridere:
ho capito che sono diventato vecchio perché - ogni volta che la polizia mi controlla la patente - mi guarda in faccia, guarda la foto sulla patente, mi guarda in faccia, guarda la foto sulla patente ogni anno sempre una volta in più.
Sento il bisogno di aggiornare questo blog, non so bene per quale motivo. Probabilmente solo come uso privato, come "diario dei ricordi", in un periodo in cui mi sento come una banderuola al vento.
La spinta provocata dall'entusiasmo nell'essermi liberato dei miei ex soci (ormai 4 mesi fa) si è affievolita e insieme ad essa i lavori che mi affollavano le giornate.
L'inizio di Gennaio è stato particolarmente preoccupante per la mancanza di lavoro e a poco a poco ho dovuto imparare a gestire l'ansia che mi attanaglia lo stomaco nei periodi di magra.
Fortunatamente la seconda metà di questo primo mese del 2017 è stata ricca di avvenimenti più o meno importanti, sempre lavorativamente parlando.
Ma a dir la verità la fortuna, come ben si sa, va aiutata: in effetti ho seminato così tanto (e continuerò a farlo) che qualcosa si è messo in moto e sono sicuro che altre sorprese mi aspetteranno.
Oggi, per esempio, è stata una giornata ricca di soddisfazioni: un nuovo lavoro, un nuovo incontro e alcune nuove prospettive.
Colonna sonora del periodo affidata a questo signore qui:
Vivo l'ennesimo dicembre incasinato: di giorno lavoro in un'agenzia (inAdv, per cui faccio lavori fighissimi) e di notte mantengo i miei lavoretti (favori ad amici, rivista di fotografia, ecc). Arrivo a sera abbastanza distrutto, ma - se riesco a passare l'abbiocco post cena - riparto. E quando ho bisogno di rimanere sveglio per finire l'ennesimo impaginato, trovo la giusta carica nella musica rock sparata a un livello importante.
Ed ecco che, in un isolato cassetto della memoria, ricordo di aver scaricato (ma anche ascoltato) il nuovo disco dei Volbeat. Mi era piaciuto, ma non troppo. E in effetti, riascoltandolo a distanza di mesi, capisco che ricasco sempre nel solito errore: all'inizio mi aspetto tanto, quindi i primi ascolti sono un po' tiepidi. Poi mi lascio andare e semplicemente mi godo la musica.
Certo, quella dei Volbeat è particolarmente ripetitiva. Non solo da un anno con l'altro (sfido chiunque a non trovare identico l'incipit di "for Evigt" con quello di "Lola Montez") ma anche all'interno dello stesso album. Però - in un periodo di estrema insicurezza e flessibilità lavorativa - qualche certezza ci vuole. E la mia sta tutta in 13 tracce da cui mi faccio volentieri perforare i timpani.
Elena: "Papà, se tu avessi una macchina del tempo, potresti andare un pochino indietro, ma non tantissimo, quando io e Anita già ci siamo?"
io: "ok, per fare cosa?"
Elena: "puoi adottare Christina Aguilera, così diventa nostra sorella?"
La cosa che mi sta colpendo di più, in questi giorni "post-licenziamento"è la quantità di messaggi e telefonate che mi arrivano.
Un sacco di attestati di stima, di incoraggiamenti e di complimenti. Ma proprio molti di più di quelli che mi aspettavo.
Energie positive in circolo: ce n'è bisogno.
Ecco i tre titoli che hanno accompagnato la mia estate, letti in ordine da sinistra a destra.
Il primo che mi è letteralmente capitato tra le mani è Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, romanzo d'esordio di Jonas Jonasson. Era lì, nella pigna dei "da leggere", e visto che mi sono ritrovato ammalato senza preavviso (c'è qualcuno che si ammala con preavviso?) l'ho pescato dalla pigna e l'ho iniziato.
Così come mi è successo con il secondo libro dello stesso autore, ho riso veramente tanto. Una storia surreale e divertente, che comunque non si esime dal farci riflettere un po' sul tipo di vita che conduciamo. O forse sono io che - visto il periodo che sto passando - gli ho dato questa connotazione.
Cmq libro straconsigliato per chi ha voglia di svagarsi.
In ordine di lettura, il secondo è una raccolta dei primi tre romanzi di Joe Lansdale con protagonisti i due amici Hap and Leonard. Avevo letto qualcosa di Lansdale, ma niente che riguardasse questa coppia di texani quasi nullafacenti, dalle battute fulminanti e con una certa propensione a dare (e ricevere) botte.
Suggeritomi dal buon Monty, ho attaccato questo libro in Sicilia e me lo sono divorato. I dialoghi tra i due protagonisti sono a tratti esilaranti e l'abilità di Lansdale di descrivere la provincia americana in poche parole è stupefacente. Libro che consiglierò vivamente.
Ho scoperto che ci hanno pure fatto una serie tv che si chiama proprio come i protagonisti, ma non sono riuscito a trovarla.
Terzo e ultimo libro, è stato Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron.
Avevo letto in giro pareri positivi su questo libro e quindi l'ho letto per curiosità. Beh mi è sembrato un libro abbastanza sopravvalutato. L'idea è carina, ma tirata troppo in lungo con personaggi o comparsate inutili (uno per tutti: il fidanzato della sorella). Insomma, 200 pagine dove l'unica cosa interessante avviene ovviamente verso la fine e pronunciata dal personaggio più prevedibile di tutti (la nonna del protagonista). Una mezza delusione.
Eccolo il cambiamento preannunciato: stamattina mi sono licenziato.
La società per cui lavoro (e di cui ero socio fino a 3 anni fa) si è trasformata in un posto per me invivible, fatta di persone ansiose ed egoiste, in cui è impossibile fare "gioco di squadra". Troppi giorni sono tornato a casa con il fegato di traverso e con la fatidica carogna che non mi abbandonava.
Abbandono questo posto, in cui ho passato gli ultimi (circa) dieci anni della mia vita con una sensazione di fallimento. Certo: ho imparato tanto e questa esperienza (in particolare quella dell'essere socio) mi ha formato tantissimo.
Ma rimane comunque un'amarezza di fondo, visto che le cose non sono andate come speravo che andassero. Anzi: ogni giorno sempre più lontane da quello che desidero.
Pazienza, è il momento di rimboccarsi le maniche e ripartire. Non ho un altro posto di lavoro dove andare, ma conto di trovarlo e - nel frattempo - di barcamenarmi con quei pochi lavoretti freelance che mi gravitano intorno.
Il ritorno dalle ferie è da sempre foriero di buone intenzioni: ricomnciare la dieta, fare vita sana, frequentare un corso di teatro e, nel tempo libero, sconfiggere la mafia e fare il ponte sullo Stretto.
Ma quest'anno, amici miei, ci siamo: per me c'è un cambiamento in atto.
Trovo simbolico visualizzare il tutto con un grosso quaderno vuoto. Anche la copertina, bianca immacolata, trovo che rappresenti a pieno il mio stato d'animo.
Niente per scontato, tutto da reinventare.
Alla fine, grazie alle infinite risorse della rete, sono riuscito anch'io a vedere Perfetti sconosciuti, il film di Paolo Genovese, largamente acclamato da pubblico e critica.
Il film è veramente molto carino e - benché non esente da un paio di difetti - riesce benissimo a mettere in luce due dei mali del nostro tempo: lo smartphone come scatola nera delle nostre vite, anche quelle più private; ma soprattutto la domanda "conosciamo veramente i nostri amici"?
Visto che si svolge tutto "in interno", il primo accostamento che viene subito alla mente è quello con Carnage, film di Roman Polansky, in cui 4 persone (due coppie sposate) si confrontano su diversi argomenti, mettendo a nudo le proprie indoli e debolezze. Solo che là abbiamo Kate Winslet (my favourite) e Jodie Foster, mentre qua abbiamo Kasia Smutniak e Alba Rohrwacher e scusate la differenza.
A questo giro bisogna ammettere che la riuscita del film di Genovese si regge molto sulla bravura degli attori maschi, su cui troneggia un sempre bravissimo e credibile Battiston.
In sostanza, il film merita davvero perché, nonostante i difetti a cui accennavo prima, non perde di efficacia e ci lascia con qualche domanda in sospeso. Cosa che - per come vivo io la settima arte - è un elemento distintivo del cinema di un certo valore.
Hai voglia a dire "listen without prejudice": arrivare alla fine del nuovo disco dei Red Hot Chili Peppers è stata una sofferenza. Ci ho provato - giuro! - a cavarci qualcosa di buono, ma le canzoni sono così mosce che proprio ti scende la catena.
Ma porcaccia di una miseria, i Red Hot avevano un impianto ritmico che ti faceva saltare sulla sedia, qua invece di Chad Smith non c'è manco l'ombra. Forse l'ha sostituito Will Ferrell, il comico che è effettivamente il suo sosia (se non avete mai visto la gag di loro due da Jimmy Fallon, ve la consiglio)
Insomma, nel disco c'è qualche sprazzo di Flea; il nuovo chitarrista è abbastanza impalpabile; Chad Smith - come dicevo - non pervenuto.
Si sono trasformati in una band pop/indie come ce ne sono tante.
E come se non bastasse lo sconforto, sul mio iTunes - dove gli album di ciascun artista sono ordinati in ordine alfabetico - quando termina l'ultima canzone di questo nuovo "The Getaway", parte "What Hits!?" con l'esplosiva "Higher Ground" (una delle mie preferite dei californiani), giusto a sottolineare la differenza abissale tra il nuovo e il vecchio.
Non potrebbero cambiare nome alla band? Forse sarebbe il caso...
Non sono mai stato un amante dei film di fantascienza, ma devo levarmi il cappello di fronte a tanta meraviglia. Interstellar, l'ultimo film di Cristopher Nolan, mi ha conquistato.
La controprova è che non mi sono annoiato nonostante le 2h e 45' di durata.
Il film è stato accompagnato da polemiche perché, secondo alcuni, certe teorie su gravità, spazio e buchi neri non rispettano fedelmente taluna o talaltra legge della fisica o della scienza, ma santinumi!, è un film, mica un trattato di scienza.
Quante volte ve lo devo ripetere? Il cinema è fatto per emozionare, per ridere o per farci riflettere sulla nostra esistenza. Sennò guardatevi i documentari e non rompeteci i coglioni.
Non me ne frega un belino di fare la figura del padre orgoglioso e me ne batto le balle del politically correct o della falsa modestia. Mia figlia Elena è un cazzo di genio.
Ne ho avuto la prova definitiva ieri mattina, quando in pochi minuti ha scritto questo "componimento" per la festa della mamma.
Tutto da sola. A 7 anni appena compiuti.
Avanti, trovatemela voi un'altra che a 7 anni si inventa una roba del genere e potrei (forse) rivedere la considerazione che Elena sia un genio. Vi sfido.
Mi plaudo da solo: questa settimana 4 giorni su 5 sono andato in ufficio in bici e 3 volte sono andato in palestra a pausa pranzo.
Non so quanto durerà, probabilmente poco, ma almeno oggi fatemi sentire un superatleta.
Signore e signori, abbiamo una candidatura per la miglior serie 2016.
Sto parlando di Mr Robot, una sorta di V per Vendetta informatico, con Elliot Alderson (un hacker) al posto di V.
Il tutto meno fumettoso (ricordiamo che V per Vendetta era una novel, prima di diventare un film) e decisamente più calato nella realtà; potrebbe tranquillamente essere ambientata nei giorni nostri.
Il telefilm è decisamente coinvolgente, già dalla opening scene della prima puntata, ben scritto, mai banale, ti tiene sempre sulle spine.
Ve lo segnalo per due motivi.
Il primo è che parla di rivoluzione, di
privacy, di quanto delle nostre vite è online e pubblico anche se
pensiamo sia privato, regolato da algoritmi che neppure comprendiamo, di
proprietà di poche grandi corporazioni di cui noi non siamo i clienti, ma siamo il prodotto. E della rivoluzione contro
tutto ciò.
La seconda motivazione è che i rivoluzionari non sono eroi: sono persone con difetti, problemi e passati "scomodi". Sono persone con qualcosa di rotto dentro.
E in questo Elliot è il più danneggiato di tutti. E voi sapete quanti io ami i personaggi borderline.
Ieri, a tavola, mentre mangiavamo le fragole con la panna.
Elena: "papà, posso metterti la panna sugli occhiali"
io: "certo che no! Perché vorresti mettercela?"
Elena: "così posso dire che hai gli occhiali appannati"
Quando si parla di rock band al femminile, mi vengono sempre in mente le Go-Go's. Bisogna essere un po' in là con l'età per ricordarsele, lo so.
Suonavano una sorta di pop rock molto orecchiabile e dovevano buona parte del loro successo alla beltade di Belinda Carlisle, cantante del gruppo, successivamente dedita alla carriera solista.
Poi c'erano anche le Bananarama o le Bangles. Insomma, tutti gruppi che suggeriscono frivolezza e anche un po' di civetteria, complice anche il ruolo che la donna ha sempre avuto nell'immaginario del popolo rock.
Se invece provate a sentirvi in cuffie "The Answer", brano di apertura del bellissimo "Adore Life", secondo album delle inglesi Savages, tutto ciò che la vostra mente vi ha sempre suggerito riguardo al concetto di rock band composta di sole donne, improvvisamente sparisce.
Sì, perché le quattro ragazze londinesi sono portatrici sane di un tipo di rock bello ruvido e convincente. Chi ne sa più di me, le fa rientrare nella categoria post-punk.
Io che invece non ne capisco un belino, posso solo dirvi che questo disco mi sembra adattissimo per me e questo inverno 2016: ruvido, tosto, un po' scontroso e cupo.
Una serie che è diventata una droga, verrebbe da dire, con il più banale gioco di parole che possa fare.
La realtà è che una droga proprio è stata, nel senso che mi ha creato dipendenza: con una media (quasi) di una puntata al giorno, me la sono sparata tutta in un paio di settimane.
Narcos è una serie praticamente biografica su Pablo Escobar, personaggio ambiguo un po' onesto e un po' bandido, raccontata con gli occhi di gli ha sempre dato la caccia, ovvero l'agente Murphy.
Divisa in 10 episodi, racconta l'ascesa e l'inevitabile caduta di uno tra i personaggi più curiosi degli ultimi 50 anni. Il tutto è reso molto convincente grazie a foto e filmati d'epoca inseriti all'interno della narrazione.
Visto che sono alquanto ignorante in materia di storia recente, questi
sguardi sui personaggi e vicende realmente esistite mi aiutano a colmare
qualche lacuna.
Ho molto apprezzato la miscela tra il biopic e l'azione. Tutto ben dosato, con uno sguardo rivolto all'aspetto umano, sia dei poliziotti che dei fuorilegge.
E così, come sempre, ci tocca scoprire che la sottile linea rossa che divide bene e male è sempre più sottile, a poco a poco che ci si avvicina all'uomo e ci si allontana dagli stereotipi e dai pregiudizi.
Forse l'unica pecca di Narcos è solamente quella di arrivare dopo i vari "Breaking Bad" e "True Detective", che hanno già esplorato questo dualismo.
Il mio amico Gulli si sposa. Sono felice felice per lui. Ma proprio tanto.
Anche perché si sposa una ragazza simpatica e carina.
Adesso non voglio stare a farvela troppo lunga sulla gente che a un certo punto della propria vita si sposa (giustamente, eh!) perché ha bisogno di compagnia. E quindi gli capita un po' chi gli capita.
No, loro due sembrano proprio essersi trovati.
Vabbè, ma chissenefrega di Gulli (lo dico solo perché so che sta leggendo).
La cosa divertente è che mi ha chiesto di fare il dj e quindi: ritorna dj Cemento. O dj Machete. O dj qualsiasi parola che mi veniva in mente a seconda della serata in cui dovevo mettere su della musica.
Insomma, sono un po' arrugginito in materia, quindi sto recuperando tutto ciò che è ed è stato danceable negli ultimi 3/4 anni.
E finalmente arriviamo al senso di questo post, se un senso c'è mai stato: volevo dirvi che è da un paio di mesi che sto in fissa dura con 'sta canzone
e sì, lo so: loro sono schifosamente giovani.
Sono comunque l'ennesima prova che gli inglesi, mannaggia a loro, continuano a produrre musica interessante.
and ooooo uooo uoooo i was a king under your control
Mi sbaglierò, ma ieri mattina, in giro con la macchina per il ridente hinterland milanese, alla radio ho
sentito una strana pubblicità della Smart. Diceva che la Smart è la macchina di tutti gli snob, e che se uno
è snob dovrebbe avere la Smart.
E io - mi sbaglierò ancora - credo che nel modo in cui mi hanno cresciuto
la parola "snob" veniva usata con disprezzo:
era una sorta di eufemismo per "stronzo", credo di
ricordare, ma - ripeto - magari mi sbaglio io.
O forse nel frattempo è diventato un complimento,
almeno nelle strategie di marketing.
Non lo so.
Ormai, in ambito pubblicitario, mi sembra di sapere sempre meno cose.
Devo dire
che non è una brutta sensazione.
E niente: questo nuovo anno è iniziato così, un po' in sordina.
Niente buoni propositi, niente progetti, nessun "quest'anno devo assolutamente".
Non capisco se sia una conseguenza dell'età che avanza, con le sue palesi disillusioni, o se sia intervenuta una sorta di pigrizia di fondo.
Intanto tanti auguri a tutti.
Una bella vacanza di 4 giorni a Bressanone, insieme ai nostri amici Marco e Cinzia con i loro 3 figli. Potrei dire "mi ci voleva proprio", ma in realtà non è un periodo particolarmente stressante, se si escludono le inutili tensioni che vivo in ufficio.
E quindi di nuovo Brixen, posto di cui mi sono innamorato, come si può facilmente capire dalla frequenza (terza volta in pochi anni) con cui ci torno, io che di solito amo vedere e frequentare posti nuovi.
Eccolo lì: il disco che stavo aspettando da mesi.
Era già da un po' che cercavo qualcosa di nuovo, però non trovavo mai niente che mi facesse innamorare al primo (o secondo) ascolto.
E invece, durante un fine settimana in montagna, arriva.
È un disco del 2011. E il primo pensiero che mi passa per la testa è: come ho fatto a non accorgermi di questo disco in 4 anni? Perché nessuno mi ha avvisato?
Si tratta di The Geeks and the Jerkin' Socks, terzo disco in studio dei francesi Shaka Ponk.
Lavoro che si contraddistingue per la commistione di generi musicali (ma anche di lingue parlate: francese, spagnolo, inglese), una sorta di patchanka in salsa elettronica.
In pratica si balla al ritmo delle chitarre distorte.
Sicuramente premio "disco che ho scoperto tardi" dell'anno 2015.
Attacco terroristico nel cuore di Parigi. Un evento grave e scioccante, per noi occidentali.
L'ho vissuto attraverso le pagine dei giornali di sabato e di domenica, perché eravamo in montagna e il mio smartphone, grazie all'abbonamento con la 3, non prendeva un bel belino. Di internet manco l'ombra.
Il ritorno alla "normalità", domenica sera. Faccio l'errore di accendere Facebook e vengo letteralmente invaso di messaggi riguardo alla strage di civili. Chi si scaglia contro l'islam, chi cambia l'icona con la bandiera della Francia, chi cerca di dare delle spiegazioni sociali, chi tira fuori la vena leghista che alberga in lui, chi accende un cero, chi prega per le vittime, chi dice "sì ma allora perché non avete pregato anche per le vittime dell'eccidio di xxxxxxxxxx", chi tira fuori citazioni della Fallaci, chi di Gino Strada, chi sforna aforismi da aspirante Nobel per la Pace...
E io, che sono un rompicoglioni, leggo tutto 'sto sproloquio e sento che c'è qualcosa che non mi torna.
Come sempre in ritardo, ma a un certo punto realizzo: ma perché tutti si sentono in dovere di dire la propria opinione? Ma chi te l'ha chiesta? Ma chi cazzo sei? Secondo te perché la gente dovrebbe sentire la necessità di avere una tua opinione sull'argomento?
Secondo me in Italia abbiamo un problema con i social network, Facebook in particolare (per forza: è il più diffuso). Ma un problema grosso.
Imparassimo un po' a star zitti ed ascoltare, forse...
Grazie alla segnalazione del mio mentore Ale, ho approcciato una nuova serie tv: Ray Donovan.
Parla di una sorta di Mr Wolf di Hollywood, che risolve con le buone e spesso pure con le cattive maniere i problemi dei vari vip di Los Angeles. I casini, che già normalmente abbondano a Hollywood e dintorni, si moltiplicano
quando il padre, con cui ha da sempre un rapporto conflittuale, esce di galera, dopo vent'anni "al fresco", sconvolgendo la sua vita e il suo nucleo
familiare.
Appena terminata la visione della prima stagione, l'ho apprezzata molto.
Non urlo certo al capolavoro, ma è una serie veramente cazzuta, che si regge sulle spalle di un Liev Schreiber
perfettamente calato nella parte del protagonista e di un Jon Voight
meraviglioso, nella parte dello scomodo padre di Ray, appena uscito di
prigione.
E una serie di attori non protagonisti da far invidia a qualsiasi produzione cinematografica.
Fanculo ai milanesi imbruttiti con le loro Audi A5 che ai semafori partono a
razzo, per fare 50 metri e ritrovarsi di nuovo in coda. Che cazzo
sgommate a fare, imbecilli?
Fanculo a quelli che vivono in doppia
fila, dimezzando le corsie di transito di una strada normale: macchina
in doppia fila e colazione al bar; macchina in doppia fila e 10 minuti
in banca; macchina in doppia fila e un salto dal Tabaccaio; e chi cazzo
vi credete di essere? i più furbi di tutti?
Fanculo alle persone che, ferme in coda, si dispongono "a scacchiera":
ci sono due file, perché tu devi stare a metà tra una fila e l'altra,
così che i motorini e le bici non passano? lo fai apposta?
Fanculo ai
radical-chic con le loro biciclette a scatto fisso: piantatela di fare i
fighi alternativi guidando senza mani, con le mani sotto
le ascelle della vostra giacca in Gore-Tex. Vorrei che vi schiantaste
tutti; voi, la vostra barbetta hipster e le vostre Clarks old-fashioned.
Fanculo alle imbranate signore con i SUV: paralizzano
un'intera via per fare 300 metri in macchina accompagnando i figli a
scuola. Imparate un po' ad andare a piedi o con i mezzi pubblici, befane
impellicciate col culo di piombo.
Fanculo
ai cinesi con le loro Ford Escort station Wagon stracariche di pacchi
azzurri: guidate ai 20 all'ora e intasate tutti il traffico. Ma levatevi
dalle palle!
Fanculo a quelli con lo scooterone che arrivano al semaforo e si
piazzano sulle strisce, davanti a tutti, con la moto di traverso. Brutto
prepotente di merda, perché devi avere la precedenza sugli altri?
No,
fanculo a te, Filippo. Che sei sempre di corsa e anziché guidare piano e
goderti il tragitto in motorino, ti scapicolli per le vie della città,
con l'ansia di metterci sempre il meno possibile, brutto testa di cazzo!
per quei pazzi scriteriati che non capiscono la citazione, sappiate che è presa da uno dei miei film preferiti:
Come sempre, ci riduciamo all'ultimo.
E così è stato anche per Expo: nonostante fosse vicino a casa, abbiamo aspettato fino a che proprio non si poteva più rimandare.
Comunque, nonostante fosse strapieno di gente, a me 'ste cose piacciono.
Un sentito grazie a Chris Cornell, che mi sta accompagnando in questi uggiosi giorni di ottobre.
Lo abbiamo già detto altre volte: è sempre piacevole farsi cullare dalla voce amica di un cantante che si segue da tanti anni, nel bene e nel male. E la voce di Chris, unita alla vena acustica pseudomalinconica di questo nuovo Higher Truth, ben si addice a queste grigie giornate autunnali; specie la mattina, quando ho bisogno di svegliarmi con molta calma.
Intendiamoci: il disco non è un capolavoro e potrebbe pure essere accusato di monotonia (lo dico perché nessuno mi scassi le palle con robe tipo "avevi detto che era bello").
Però a me piace molto. Forse perché mi ricorda le atmosfere di "Euphoria Morning", disco che ho apprezzato parecchio, benché in maniera tardiva.
O forse semplicemente perché in questo momento avevo bisogno di un disco così.
In realtà è un reperto di quest'estate, però l'ho ritrovato adesso e voglio mostrarvelo perché fa troppo ridere.
È successo che un giorno Anita arriva arrabbiatissima e dice "guarda cosa ha scritto Elena! Devi sgridarla e darle una punizione" e mi porge un foglio.
Guardo Elena che si avvicina a testa bassa: "Elena cos'è successo?"
Non risponde, in attesa del giudizio divino.
Allora mi decido e leggo il foglio che Anita ancora tiene in mano, col braccio ben teso, di fronte a me.
Ecco, in questi casi essere genitori è veramente difficile.
Innanzitutto perché non è che puoi punire una solo perché l'ha detto l'altra.
Ma soprattutto se ti viene dato un foglio che ti fa schiantare dal ridere.
Traduco: Anita - Scema - Schifosa - Fuori di testa - Vanitosa - Cicciona - Pelata - Stonata - Fa "Mu Mu" (= mucca) - e "coccodè" - è un maschio - e sputa cacca.
Provateci voi a trattenere le risate, cercando di sgridare vostra figlia.
Ne parlavo tempo fa: secondo me gli italiani, nel cinema, sono bravi a raccontare storie piccole, quasi di quartiere.
Ne ho avuto un'ulteriore conferma ieri sera, dopo aver visto "Smetto quando voglio", brillante commedia dell'esordiente Sydney Sibilia (sì, si chiama proprio così, non è un nome d'arte).
Parla di un gruppo di brillanti ricercatori universitari che tentano di uscire dal disastro della precarietà cronica a cui sono sottoposti, iniziando a produrre e spacciare droga.
Se vi piacciono le etichette è una sorta di "I soliti ignoti" in salsa Guy Ritchie. Certo, la trama potrà sembrarvi un po' "Breaking Bad", la fortunata serie tv interpretata da Bryan Cranston.
Ma non è tutto lì: c'è anche la realtà molto italiana delle università, degli inciuci, del lavoro in nero, della cultura troppo snobbata, di chi sembra senza una lira e invece spende 100 euro per un cocktail (molto particolare, per la verità).
Insomma, siamo davanti a una commedia non stupida, ben scritta, ben girata e ben intepretata.
Per quello che propone il cinema italiano ultimamente, mi sembra quasi troppo.
Anita sta leggendo il librone con le prime mille strisce di Lupo Alberto. È arrivata alla sequenza (irresistibilmente comica, uno dei punti di massimo splendore del fumetto) in cui Enrico La Talpa dichiara la sua omosessualità.
- Papà, cosa vuol dire "gay"?
- È un uomo a cui piacciono gli uomini.
- Ah!
E si gira, continuando a leggere.
Punto. Basta.
"Ah!" è tutto quello che una bambina di 9 anni ha da dire.
Nessuna espressione incredula, niente sorrisini imbarazzati, nessuno sguardo interrogativo, niente di niente.
Ah!
Terminata la seconda stagione di True Detective, il commento più diffuso è: era molto meglio la prima.
Commento che ha i suoi fondamenti, per carità.
Ma a me non mi ci pigliate i mezzo a 'sti giochini, no no. Mi sono avvicinato a questa new season mentalmente immacolato.
Anche perché - diciamo la verità - a parte il titolo e l'autore, non aveva niente a che vedere con la precedente: cast, luoghi e timeline completamente differenti.
Personalmente, me lo sono goduto: un telefilm ben girato e ben congegnato che ha la sua pecca in un plot narrativo troppo articolato con tantissimi ruoli in gioco, per cui era veramente difficile tenerne le fila.
Però nel complesso a me è piaciuto.
Mi è piaciuta Rachel McAdams in una parte per lei completamente nuova, così come Vince Vaughn in un ruolo drammatico. Un Colin Farrell invece calato in una parte che gli calzava a pennello. E un Taylor Kitsch un po' ingessato, ma gli veniva richiesto dal ruolo.
In generale quattro protagonisti con 4 storie tormentate alle loro spalle. Ed ho sempre avuto un debole per questo tipo di storie: gente che non ha più nulla da perdere, che compie gesti estremi, perché perennemente in bilico.
Insomma, ad avercene di serie tv così, farei i salti di gioia.
The war was lost
The treaty signed
I was not caught
I crossed the line