18 giugno 2019

Tool + Smashing Pumpkins live - Firenze Rocks

Difficile veramente trovare le parole per descrivere il concerto di Firenze di giovedì scorso. Specialmente se hai delle aspettative molto alte nei confronti di un gruppo e queste aspettative vengono superate.
E dire che fino a un minuto prima dell'inizio dell'esibizione dei Tool, ero lì che mi chiedevo chi me l'aveva fatto fare di andare fino a Firenze in un giorno infrasettimanale a patire il caldo e a vedere il palco praticamente con il binocolo. Sì, perché il famoso "Pit" (per i non avvezzi: la zona antistante il palco dove si entra solo con un biglietto quasi introvabile) del festival fiorentino è enorme. Talmente grande che relega noi sfigati con biglietto normale a godere del concerto da distanza siderale.

Ma andiamo con ordine: parto da Milano alle 13,40, con prima a tappa a Pavia, a prendere il buon Armando detto Paci, e seconda tappa a Genova, per raccattare anche mio nipote Giacomo. Alle 18,30 circa arriviamo a Firenze, con un discreto anticipo rispetto all'orario di esibizione degli Smashing Pumpkins, proprio come desideravo.
Sul luogo ci incontriamo con il mitico Andreone, milanese trapiantato a Roma già da qualche anno, che è arrivato da solo dalla Capitale.


Salgono gli Smashing Pumpkins. Con la formazione originale quasi al completo (manca solo D'arcy Wretzky), Corgan e soci danno vita a una performance live abbastanza fiacca che, come si può ben immaginare, trova i più alti riscontri di pubblico nel momento in cui vengono suonate le canzoni vecchie come "Bullet with butterfly wings" "1979" o "Cherub Rock". Non so se è per il caldo o - molto più probabilmente - per la mia abitudine a vedere i concerti dalle prime file, ma non riesco più di tanto ad appassionarmi. Mi sembra un live act di tanto mestiere e poca passione.

Alle 21,45 come da programma salgono sul palco i Tool. L'inizio è una tripletta terrificante, costituita da "Aenima" (probabilmente mia canzone preferita), "The Pot" e "Parabola" (altri due brani che adoro). La gioia mi esplode da ogni poro. A poco a poco mi succede una roba strana, che con non poca difficoltà cercherò di descrivervi.
Passato l'entusiasmo iniziale quasi bambinesco, inizio a farmi assorbire veramente dal concerto. I suoni sono praticamente perfetti, loro sono magnificamente sincronizzati, le luci sono pazzesche. Mi parte una sorta di sindrome di Stendhal in cui fagocito tutto: luci, colori, musica; e ne respiro a pieni polmoni.


Ma il vero transfer comincia quando il gruppo suona "Descending", il primo inedito tratto dal disco che uscirà ad agosto. La canzone non la conosci, quindi non canti, ma bensì cerchi di ascoltare ogni singola vibrazione. E lì, davanti a uno spettacolo audiovisivo incredibile, capisci la grandezza dei Tool: sono talmente fighi dentro, che non conta se sei a 40 metri da loro, non conta se Maynard si intravede nel buio, non conta se Adam e Justin si muovono appena sul palco. Loro giocano una partita totalmente diversa dai normali gruppi rock. Anzi non è neanche lo stesso fottuto campo da gioco (citando Pulp Fiction).
È come se loro quattro fossero solo una parte dello show, tipo l'orchestra all'opera.
Gli schermi proiettano immagini "alla Tool" (vedi i loro video), le luci fanno cose mai viste a un concerto (semmai a uno spettacolo teatrale tipo La Fura dels Baus): si alzano, si girano, si abbassano, cambiano assetto, ecc. E la musica è perfetta. Riconoscibile, perché il marchio di fabbrica è quello, ma nuova. Una sinfonia di chitarre pesanti, basso dai suoni assai singolari e batteria martellante. Pubblico in religioso silenzio.
Finito il pezzo la platea esplode e mi sembra di assistere a un evento di quelli che "d'ora in poi non sarà più la stessa cosa".
Da quel momento in poi sono completamente in trance. A un certo momento, su "40 six & two", sono talmente euforico che abbraccerei anche gli sconosciuti.
Finisce dopo un'ora mezza di esibizione (come a Milano nel 2006), ma che razza di concerto, ragazzi!