17 novembre 2022

Amsterdam - David O. Russell

Ormai affezionato alle proiezioni in lingua originale del lunedì, sono andato a vedermi Amsterdam, l'ultimo film di David O. Russell, nonostante le diverse critiche negative sentite in giro. Il trailer devo dire che ispirava molto: cast stellare, fotografia eccellente e plot interessante. 

La trama: ambientato negli anni 30, il film racconta di due amici dai tempi della guerra (Christian Bale e John David Washington) alle prese con il cadavere del generale Meekins, colui che li aveva fatti incontrare sotto le armi. Una morte molto sospetta, che fa pensare a un omicidio premeditato, o addirittura a una cospirazione nazionale. Cosa e chi si nasconde sotto questa morte improvvisa?

Il film è tutto sommato godibile e divertente. Cosa non funziona allora in Amsterdam? 

Innanzitutto il plot narrativo (benché ispirato a una storia vera, come viene esplicitato all'inizio e alla fine del film) è abbastanza blando, con colpi di scena telefonati. Non solo: le spiegazioni "a prova di pirla" (come si direbbe a Milano) lo indeboliscono ulteriormente.

L'altro punto debole è l'aspettativa. È chiaro che un film con un cast così squillante generi un'attesa che difficilmente possa venire ripagata. Stelle del calibro di Robert De Niro vengono impiegate per pochi minuti, lasciandoti con l'amaro in bocca. Christian Bale giganteggia su tutti (ma questa non è una novità) e Margot Robbie gli sta al passo, ma John David Washington è abbastanza spento. Chris Rock assolutamente inutile, così come Taylor Swift e forse anche Zoe Saldana. Insomma, la sensazione è che tutti questi grandi nomi siano solo un gancio per portare la gente al cinema e non diano un contributo al film.

Come dicevo, nella sua totalità il film è godibile, ma si esce dalla sala con la bocca un po' storta. E, vabbè, sempre più innamorati di Margot Robbie, che ad ogni inquadratura mi ha fatto fare dei sosiproni.



02 novembre 2022

Triangle of Sadness - Ruben Ostlund

Il triangolo della tristezza, come ci viene comunicato all'inizio del film, è quel solco tra le sopracciglia e il naso, che i modelli e le modelle irrigidiscono per sembrare sexy e superiori, quando sono testimonial delle grandi marche. Da questo piccolo dettaglio parte il film, una dichiarata critica al nostro mondo, ormai fatto di finzione e di immagini sempre più social.

Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes, l'ultima fatica di Ostlund, ci racconta di una crociera extralusso, popolata da gente ricchissima e viziata, che finisce in un naufragio. I pochi superstiti si ritroveranno su un'isola su cui i ruoli vengono completamente ribaltati, poiché il denaro conta poco o nulla, ma prevale l'arte di sapersi arrangiare. 

Come detto, il film è una critica neanche troppo velata al mondo dell'apparire, dove chi è molto ricco o molto bello, può decidere di vita o di morte sulle altre persone (emblematica la scena in cui una signora si lamenta delle vele sporche e Woody Harrelson le risponde che, essendo una barca a motore, non ha vele, ma lei chiede che vengano pulite lo stesso). La carrellata di personaggi è raccapricciante: c'è chi è diventato milionario "vendendo merda" o fabbricando armi, donne rifatte e chi ordina perentoriamente allo staff dello yacht di divertirsi. In tutto ciò il comandante dello yacht (Woody Harrelson, appunto) se ne sta chiuso il più possibile chiuso nella sua cabina, incurante del proprio ruolo e degli ospiti, ascoltando l'internazionale socialista e alcolizzandosi.


Triangle of Sadness è un film godibile e divertente. Certo, noi italiani non possiamo non pensare a "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto", dove già si esplorava il ribaltamento dei ruoli e sempre su un'isola deserta. Rispetto al film della Wertmuller, questo ovviamente è più moderno, più ricco, ma per certi versi anche più stereotipato. Insomma, non conosco gli altri lungometraggi in gara a Cannes, ma forse la Palma d'Oro è un po' eccessiva.