Il triangolo della tristezza, come ci viene comunicato all'inizio del film, è quel solco tra le sopracciglia e il naso, che i modelli e le modelle irrigidiscono per sembrare sexy e superiori, quando sono testimonial delle grandi marche. Da questo piccolo dettaglio parte il film, una dichiarata critica al nostro mondo, ormai fatto di finzione e di immagini sempre più social.
Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes, l'ultima fatica di Ostlund, ci racconta di una crociera extralusso, popolata da gente ricchissima e viziata, che finisce in un naufragio. I pochi superstiti si ritroveranno su un'isola su cui i ruoli vengono completamente ribaltati, poiché il denaro conta poco o nulla, ma prevale l'arte di sapersi arrangiare.
Come detto, il film è una critica neanche troppo velata al mondo dell'apparire, dove chi è molto ricco o molto bello, può decidere di vita o di morte sulle altre persone (emblematica la scena in cui una signora si lamenta delle vele sporche e Woody Harrelson le risponde che, essendo una barca a motore, non ha vele, ma lei chiede che vengano pulite lo stesso). La carrellata di personaggi è raccapricciante: c'è chi è diventato milionario "vendendo merda" o fabbricando armi, donne rifatte e chi ordina perentoriamente allo staff dello yacht di divertirsi. In tutto ciò il comandante dello yacht (Woody Harrelson, appunto) se ne sta chiuso il più possibile chiuso nella sua cabina, incurante del proprio ruolo e degli ospiti, ascoltando l'internazionale socialista e alcolizzandosi.
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