Potrei descrivere "Norwegian Wood" di Haruki Murakami come un romanzo di formazione giapponese, ma sarebbe alquanto riduttivo. Innanzitutto per la qualità della scrittura di Murakami: semplice, nitida, lineare. Non so se sia consono descrivere così uno stile, ma sono le prime parole che mi vengono in mente. Una prosa coinvolgente e molto fruibile.
Ma a parte questo dettaglio, quello che mi ha conquistato di questo libro è il gioco dei contrasti: amore e morte, felicità e depressione, amicizia e solitudine. Watanabe, protagonista del libro, vive questi contrasti in maniera genuina, senza chiedersi troppo il perché ma vivendoli, quasi attraversandoli.
Sarà il periodo della vita che sto passando, ma tra le pagine ho trovato diversi spunti interessanti, che ben si conciliano con quello che mi frulla per la testa.
Insomma, un masterpiece (questo l'ho scoperto solo in una seconda fase, quando la maggior parte delle persone a cui ne parlavano mi dicevano che lo avevano già letto) che non delude affatto.
“La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare”
2 commenti:
Ma sai che io lo lessi quando uscì in Italia, e non mi ricordo un cazzo? Così, per lasciare un commento.
L'ho comprato mesi fa ma devo ancora leggerlo... Mi dai lo spunto per farlo salire dalla pila di libri in stand/by
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