L'Mp3 è quello scooterone della Piaggio riconoscibile perché dotato di tre ruote (doppia ruota anteriore), che ne aumenta la stabilità.
Con il tempo il tipo Mp3 è diventato l'adulto della Milano bene, che lavora in banca, ben vestito, dotato di giaccone impermeabile (rigorosamente con bavero alzato) e di scarpe "classiche" da 200 euro. Quello che in garage ha l'Audi, per intenderci.
Classificazione: mediamente non pericoloso.
Accessorio d'obbligo: l'auricolare Bluetooth.
Stile di Guida: tendente al nervoso. Ha comprato lo scooter per evitare il traffico perché lui non ha tempo da perdere.
Espressioni facciale: impossibile da decifrare, perché ha sempre il casco da moto con visiera scura.
Reazioni: fulminee. Fermo al semaforo, sta già accelerando quando vede il giallo nel semaforo della strada perpendicolare.
Upgrade: nessuno.
29 aprile 2009
28 aprile 2009
non capisco
Allora: c'è stato il terremoto in Abruzzo.
Il nostro premier, in uno dei suoi ennesimi coup de théâtre sposta il G8 dalla Maddalena a L'Aquila.
E uno pensa: magari, tutto sommato non è un'idea sbagliata.
Però io non capisco. E più esattamente non capisco due cose.
1 - Per giorni e giorni tutti i mezzi di stampa ci hanno detto di non andare assolutamente in Abruzzo, che si rischia solo di intralciare i lavori della Protezione Civile, ecc. Ok, mi sta bene. E allora noi cosa facciamo? Gli mandiamo là un esercito di giornalisti, guardie del corpo, portaborse, e compagnia bella?
2 - Non so voi, ma io tendo ad essere una persona abbastanza riservata. E se sono vivo per miracolo; abito in una tenda (con il tempo di merda che c'è in questi giorni); non so per quanto tempo vivrò in quella tenda; le mie cose sono sepolte sotto cumuli di macerie, per cui ho giusto due felpe e un paio di jeans; visto tutto questo - dicevo - io non penso di aver voglia di farmi fotografare di fianco alla Merkel (per dirne una) con sullo sfondo la mia casa ridotta in macerie. O sono io che sono strano?
Il nostro premier, in uno dei suoi ennesimi coup de théâtre sposta il G8 dalla Maddalena a L'Aquila.
E uno pensa: magari, tutto sommato non è un'idea sbagliata.
Però io non capisco. E più esattamente non capisco due cose.
1 - Per giorni e giorni tutti i mezzi di stampa ci hanno detto di non andare assolutamente in Abruzzo, che si rischia solo di intralciare i lavori della Protezione Civile, ecc. Ok, mi sta bene. E allora noi cosa facciamo? Gli mandiamo là un esercito di giornalisti, guardie del corpo, portaborse, e compagnia bella?
2 - Non so voi, ma io tendo ad essere una persona abbastanza riservata. E se sono vivo per miracolo; abito in una tenda (con il tempo di merda che c'è in questi giorni); non so per quanto tempo vivrò in quella tenda; le mie cose sono sepolte sotto cumuli di macerie, per cui ho giusto due felpe e un paio di jeans; visto tutto questo - dicevo - io non penso di aver voglia di farmi fotografare di fianco alla Merkel (per dirne una) con sullo sfondo la mia casa ridotta in macerie. O sono io che sono strano?
24 aprile 2009
i dischi della mia vita - robbie robertson (1987)
piccola intro: copio spudoratamente una rubrica dal blog di Angelo, dopo sua approvazione. Grazie.
Negli anni 80 ero un superfan degli U2; talmente fan che, insieme a mio fratello, compravamo qualsiasi disco, fanzine, pubblicazione o altro su cui la band irlandese comparisse.
Fu così che un giorno mio fratello tornò a casa con in mano il disco omonimo di Robbie Robertson, di cui non sapevo assolutamente nulla. Tranne ovviamente il fatto che quel disco contenesse un paio di brani dove figuravano i miei beniamini.
L'innamoramento fu immediato e, ancora oggi, rimane uno dei miei dischi preferiti, di quelli che non ti stanchi mai di ascoltare.
Una serie di brani dalle origini classicamente rock con alcune influenze indiane (Robertson, canadese di nascita, è figlio di un'indiana Mohawk) e contaminazioni di vario genere, ma che non perdono il filo conduttore: canzoni che sanno di deserto ("Fallen Angel", "Broken Arrow", "Somewhere down the Crazy River", "Sonny Got Caught in the Moonlight") e di città di frontiera ("Showdown at Big Sky", "Sweet Fire of Love", "American Roulette").
Per quello che era il suo primo album solista, Robertson si fece aiutare da partner d'eccezione: gli U2, appunto, Peter Gabriel e la sua gang (Manù Katché, Tony Levin e compagnia suonante), Gil Evans, Maria McKee dei Lone Justice e tanti altri; il tutto prodotto da uno dei Re Mida del settore, Daniel Lanois (canadese anche lui).
Il disco si apre con "Fallen Angel", un brano meraviglioso (forse il più bello del disco) dove il basso di Tony Levin le percussioni di Manu Katché e la voce di Peter Gabriel si sposano perfettamente con la musica e il cantato di Robertson.
Poi improvvisamente la musica prende tutt'altro ritmo con "Showdown at Big Sky", per poi tornare più indiana che mai in "Broken Arrow".
Quarto brano (e ultimo del Lato A del vinile) l'esplosiva "Sweet Fire of Love" dove la massiccia presenza degli U2 si sente già dalle note introduttive di chitarra "alla The Edge"; ma - rispetto a un brano degli U2 - è totalmente diverso. E, per i fan come me, si sente anche solo da come Bono imposta la voce: più sofferta e rauca; per poi aprirsi totalmente nel ritornello e duettare con Robertson mettendo in luce due stili completamente diversi.
Il Lato B (un po' meno bello del precedente) inizia con la rockettara "American Roulette", per poi proseguire con la bellissima "Somewhere down the Crazy River": un sussurro (comincia con Robbie Robertson che parla) che scalda il cuore.
Poi il disco alterna di nuovo un pezzo rockettone di quelli da cantare mentre si guida ("Hell's Half Acre") a una ballata ("Sonny Got Caught in the Moonlight") per chiudersi con un brano decisamente atipico: "Testimony", dove i fiati della Gil Evans Session la fanno da padrone.
In totale nove brani.
Un po' troppo pochi per chi ama questo disco.
Negli anni 80 ero un superfan degli U2; talmente fan che, insieme a mio fratello, compravamo qualsiasi disco, fanzine, pubblicazione o altro su cui la band irlandese comparisse.
Fu così che un giorno mio fratello tornò a casa con in mano il disco omonimo di Robbie Robertson, di cui non sapevo assolutamente nulla. Tranne ovviamente il fatto che quel disco contenesse un paio di brani dove figuravano i miei beniamini.
L'innamoramento fu immediato e, ancora oggi, rimane uno dei miei dischi preferiti, di quelli che non ti stanchi mai di ascoltare.
Una serie di brani dalle origini classicamente rock con alcune influenze indiane (Robertson, canadese di nascita, è figlio di un'indiana Mohawk) e contaminazioni di vario genere, ma che non perdono il filo conduttore: canzoni che sanno di deserto ("Fallen Angel", "Broken Arrow", "Somewhere down the Crazy River", "Sonny Got Caught in the Moonlight") e di città di frontiera ("Showdown at Big Sky", "Sweet Fire of Love", "American Roulette").
Per quello che era il suo primo album solista, Robertson si fece aiutare da partner d'eccezione: gli U2, appunto, Peter Gabriel e la sua gang (Manù Katché, Tony Levin e compagnia suonante), Gil Evans, Maria McKee dei Lone Justice e tanti altri; il tutto prodotto da uno dei Re Mida del settore, Daniel Lanois (canadese anche lui).
Il disco si apre con "Fallen Angel", un brano meraviglioso (forse il più bello del disco) dove il basso di Tony Levin le percussioni di Manu Katché e la voce di Peter Gabriel si sposano perfettamente con la musica e il cantato di Robertson.
Poi improvvisamente la musica prende tutt'altro ritmo con "Showdown at Big Sky", per poi tornare più indiana che mai in "Broken Arrow".
Quarto brano (e ultimo del Lato A del vinile) l'esplosiva "Sweet Fire of Love" dove la massiccia presenza degli U2 si sente già dalle note introduttive di chitarra "alla The Edge"; ma - rispetto a un brano degli U2 - è totalmente diverso. E, per i fan come me, si sente anche solo da come Bono imposta la voce: più sofferta e rauca; per poi aprirsi totalmente nel ritornello e duettare con Robertson mettendo in luce due stili completamente diversi.
Il Lato B (un po' meno bello del precedente) inizia con la rockettara "American Roulette", per poi proseguire con la bellissima "Somewhere down the Crazy River": un sussurro (comincia con Robbie Robertson che parla) che scalda il cuore.
Poi il disco alterna di nuovo un pezzo rockettone di quelli da cantare mentre si guida ("Hell's Half Acre") a una ballata ("Sonny Got Caught in the Moonlight") per chiudersi con un brano decisamente atipico: "Testimony", dove i fiati della Gil Evans Session la fanno da padrone.
In totale nove brani.
Un po' troppo pochi per chi ama questo disco.
20 aprile 2009
espletando
In pochi minuti sono riuscito a:
- farmi rigurgitare addosso da Elena
e mentre la cambiavo
- farmi fare la cacca addosso
- farmi fare la pipì addosso
un padre stimolante, non c'è che dire.
- farmi rigurgitare addosso da Elena
e mentre la cambiavo
- farmi fare la cacca addosso
- farmi fare la pipì addosso
un padre stimolante, non c'è che dire.
17 aprile 2009
ovviamente
Nei giorni scorsi ho fatto mettere il sellino per bimbi alla mia bici.
Poi ho comprato il caschetto per Anita.
Un'ora fa lei stessa mi ha chiesto di andare, e così c'è stato il battesimo del fuoco.
Abbiamo preso la bici e siamo andati all'Esselunga.
Ovviamente si è messo a grandinare.
Per la cronaca: è venuto lo zio Dauno a prenderci in macchina per portarci a casa.
La mia bici è ancora all'Esselunga.
Poi ho comprato il caschetto per Anita.
Un'ora fa lei stessa mi ha chiesto di andare, e così c'è stato il battesimo del fuoco.
Abbiamo preso la bici e siamo andati all'Esselunga.
Ovviamente si è messo a grandinare.
Per la cronaca: è venuto lo zio Dauno a prenderci in macchina per portarci a casa.
La mia bici è ancora all'Esselunga.
16 aprile 2009
primavera
Anita nel pieno di un'età meravigliosa; l'arrivo della piccolina; adesso pure i gerani sul balcone.
In questa casa tutto sembra parlare di natura che germoglia.
In questa casa tutto sembra parlare di natura che germoglia.
12 aprile 2009
cronaca di una notte alquanto fuori dall’ordinario
Voi penserete: “è nata Elena, avrai passato la notte a tenere le mani di tua moglie e poi subito dopo il parto, avrai preso in braccio la tua bimba, l’avrai guardata adorante, dopodiché l’hai lasciata alle infermiere che l’hanno messa a riposare, bacio canonico in fronte alla moglie e poi, nei colori caldi dell’alba, sei uscito e ti sei acceso un sigaro, guardando al futuro con orgoglio e fiducia”.
Film già visto, ma non a casa mia, signori miei.
Eh, no: perché fare le cose così semplici?
La realtà è stata ben diversa.
La mattina del 10 aprile mi sono svegliato con un po’ di febbre, che mi è aumentata durante tutto l’arco della giornata, in barba alle Tachipirine che avevo preso per frenarne l’ascesa. Non contento, ma soprattutto preoccupato di non essere al meglio nel momento del bisogno, avevo anche chiamato il medico curante per farmi consigliare qualcosa che mi debellasse il malessere. Il risultato è stato che Dalia è tornata a casa con un antibiotico “bomba” che ho prontamento preso dopocena, verso le 21,30.
Non so se voi siete abituati a ingurgitare medicine come fossero caramelle, ma... beh!... io proprio per niente.
Quindi se mettete un mix di: febbre a 39,5, due Tachipirine e un antibiotico per elefanti, quale può essere la conseguenza logica?
Ma è ovvio: che Dalia verso mezzanotte mi dice “ho le contrazioni. Stanno diventando regolari”.
Ora immaginate lo scemo del paese. Ubriaco perso. Dopo che qualcuno l’ha pestato come un polpo su uno scoglio. Ce l’avete presente (o almeno lo immaginate)?
Ecco, io devo aver avuto un’espressione del genere dipinta in volto in quel momento. E devo aver pronunciato qualcosa che somigliava a: “pgrrhfn...”
Insomma: non ero in grado di intendere ne’ di volere. No, sbaglio: di volere sì. Peccato che le mie volontà fossero totalmente in disaccordo con la mia capacità di agire.
Per fortuna, in previsione di eventuali necessità, nei giorni scorsi era venuta a Milano mia madre; la quale è stata prontamente svegliata e si è resa disponibile ad accompagnare Dalia in ospedale.
Povera Dalia, che piangeva mentre usciva di casa, perché voleva che ci vivessimo quel momento insieme.
Insomma, la notte del parto, sono rimasto a casa, con Anita che dormiva.
O almeno fino a quel momento. Infatti, dopo un quarto d’ora che erano uscite loro, Anita si è messa a piangere, perché era intasata di catarro e non riesce a dormire perché non respira bene.
Dopo il terzo "adesso smette e si riaddormenta”, mi son reso conto che NON si sarebbe riaddormentata e così ho fatto appello alle poche energie che avevo per tirarmi in piedi e andare a prenderla un po’ in braccio.
Ma le mie forze cedevano, quindi, ancora piangente, me la sono portata nel lettone. Coccole, carezze, ninnananna: qualsiasi tentativo di farla smettere di piangere non sortiva alcun effetto.
E così si è liberata di tutto quel catarro nell’unico modo (o quasi) possibile: vomitando.
Ovviamente addosso a me, a se stessa, sul mio cuscino e sul lenzuolo.
Ora immaginatevi sempre lo scemo del villaggio, nelle poco edificanti condizioni di cui prima, che si alza, lava la bimba, la cambia, poi si lava, si cambia, poi leva le lenzuola e le cambia e poi finalmente si rimette a dormire.
In quel momento squilla il telefono: è mia madre, che mi dice “la trattengono in ospedale, è già dilatata di quattro centimetri”.
E io di nuovo: “pgrrhfn...”
Ecco da lì in poi la notte è iniziata ad andare bene.
La febbre a poco a poco scendeva; Anita ha dormito tranquillissima e io col passare delle ore riacquistavo un poco di lucidità. E quando alle 6,15 mi ha chiamato mia madre per dirmi che era nata Elena in quell’istante, ero quasi una persona normale. O se non altro in grado di intendere.
Così, felicissimo, mi sono alzato per andare in bagno e poi a bere un bicchiere d’acqua (mica champagne) e il mio piede si è imbattuto in qualcosa di molle: accendo la luce e mi accorgo che anche la gatta aveva vomitato.
Sia mai che si possano vivere 10 minuti di tranquillità, in questa casa.
Film già visto, ma non a casa mia, signori miei.
Eh, no: perché fare le cose così semplici?
La realtà è stata ben diversa.
La mattina del 10 aprile mi sono svegliato con un po’ di febbre, che mi è aumentata durante tutto l’arco della giornata, in barba alle Tachipirine che avevo preso per frenarne l’ascesa. Non contento, ma soprattutto preoccupato di non essere al meglio nel momento del bisogno, avevo anche chiamato il medico curante per farmi consigliare qualcosa che mi debellasse il malessere. Il risultato è stato che Dalia è tornata a casa con un antibiotico “bomba” che ho prontamento preso dopocena, verso le 21,30.
Non so se voi siete abituati a ingurgitare medicine come fossero caramelle, ma... beh!... io proprio per niente.
Quindi se mettete un mix di: febbre a 39,5, due Tachipirine e un antibiotico per elefanti, quale può essere la conseguenza logica?
Ma è ovvio: che Dalia verso mezzanotte mi dice “ho le contrazioni. Stanno diventando regolari”.
Ora immaginate lo scemo del paese. Ubriaco perso. Dopo che qualcuno l’ha pestato come un polpo su uno scoglio. Ce l’avete presente (o almeno lo immaginate)?
Ecco, io devo aver avuto un’espressione del genere dipinta in volto in quel momento. E devo aver pronunciato qualcosa che somigliava a: “pgrrhfn...”
Insomma: non ero in grado di intendere ne’ di volere. No, sbaglio: di volere sì. Peccato che le mie volontà fossero totalmente in disaccordo con la mia capacità di agire.
Per fortuna, in previsione di eventuali necessità, nei giorni scorsi era venuta a Milano mia madre; la quale è stata prontamente svegliata e si è resa disponibile ad accompagnare Dalia in ospedale.
Povera Dalia, che piangeva mentre usciva di casa, perché voleva che ci vivessimo quel momento insieme.
Insomma, la notte del parto, sono rimasto a casa, con Anita che dormiva.
O almeno fino a quel momento. Infatti, dopo un quarto d’ora che erano uscite loro, Anita si è messa a piangere, perché era intasata di catarro e non riesce a dormire perché non respira bene.
Dopo il terzo "adesso smette e si riaddormenta”, mi son reso conto che NON si sarebbe riaddormentata e così ho fatto appello alle poche energie che avevo per tirarmi in piedi e andare a prenderla un po’ in braccio.
Ma le mie forze cedevano, quindi, ancora piangente, me la sono portata nel lettone. Coccole, carezze, ninnananna: qualsiasi tentativo di farla smettere di piangere non sortiva alcun effetto.
E così si è liberata di tutto quel catarro nell’unico modo (o quasi) possibile: vomitando.
Ovviamente addosso a me, a se stessa, sul mio cuscino e sul lenzuolo.
Ora immaginatevi sempre lo scemo del villaggio, nelle poco edificanti condizioni di cui prima, che si alza, lava la bimba, la cambia, poi si lava, si cambia, poi leva le lenzuola e le cambia e poi finalmente si rimette a dormire.
In quel momento squilla il telefono: è mia madre, che mi dice “la trattengono in ospedale, è già dilatata di quattro centimetri”.
E io di nuovo: “pgrrhfn...”
Ecco da lì in poi la notte è iniziata ad andare bene.
La febbre a poco a poco scendeva; Anita ha dormito tranquillissima e io col passare delle ore riacquistavo un poco di lucidità. E quando alle 6,15 mi ha chiamato mia madre per dirmi che era nata Elena in quell’istante, ero quasi una persona normale. O se non altro in grado di intendere.
Così, felicissimo, mi sono alzato per andare in bagno e poi a bere un bicchiere d’acqua (mica champagne) e il mio piede si è imbattuto in qualcosa di molle: accendo la luce e mi accorgo che anche la gatta aveva vomitato.
Sia mai che si possano vivere 10 minuti di tranquillità, in questa casa.
11 aprile 2009
Elena!
Finalmente stamattina alle 6,15 è arrivata Elena: 3,650 kg per 54 cm di altezza.
Praticamente una gigantessa.
Praticamente una gigantessa.
07 aprile 2009
Elena is coming
Stanotte primi movimenti di pancia "sospetti".
Stamattina visita ginecologica: è iniziata la dilatazione.
Potremmo essere vicini. Molto vicini.
Stamattina visita ginecologica: è iniziata la dilatazione.
Potremmo essere vicini. Molto vicini.
06 aprile 2009
dialoghi
Filippo: "Sei contenta che sta arrivando Dora*?"
Anita: "No, ho paura"
F (sbigottito): "Ma cosa stai dicendo?"
A (sospirando): "Lo so: sono così sminuita!"
* la babysitter
Anita: "No, ho paura"
F (sbigottito): "Ma cosa stai dicendo?"
A (sospirando): "Lo so: sono così sminuita!"
* la babysitter
02 aprile 2009
little sister
Una cosa imperdibile in questi giorni, a casa nostra, sono i dialoghi tra Anita e la sorellina. O, più esattamente, tra Anita e la pancia di Dalia.
Come consigliatoci da una psicologa infantile che Dalia ha conosciuto, cerchiamo di rendere partecipe Anita dell'arrivo della sorellina attraverso una serie di piccoli accorgimenti quali:
- dare subito un nome alla futura bimba (e infatti l'abbiamo chiamata Elena; anzi: l'ha deciso Anita un mesetto fa) in modo che lei familiarizzi già con un futuro essere umano ben preciso;
- farsi aiutare dalla grande in alcune piccole faccende della preparazione della casa (stasera per esempio ci ha "aiutato" a montare la culla) e poi farle presente che se non ci fosse lei che ci aiuta non sapremmo come fare.
E così di questo passo, in modo da non creare gelosie, ma collaborazione.
Apparentemente questi piccoli escamotage stanno dando i loro frutti, perché Anita è veramente felice. E, come accennavo, parla tanto con la pancia di Dalia; e le racconta di tutto: quello che fa, cosa ha visto in tv, le dice che le vuole bene, eccetera.
E tutto questo lo fa alzando la maglietta di Dalia, come se Elena potesse sentirla meglio.
Momento cruciale quando poi decide che ha finito e allora dice "buonanotte sorellina" e tira giù la maglietta.
Imperdibile.
Come consigliatoci da una psicologa infantile che Dalia ha conosciuto, cerchiamo di rendere partecipe Anita dell'arrivo della sorellina attraverso una serie di piccoli accorgimenti quali:
- dare subito un nome alla futura bimba (e infatti l'abbiamo chiamata Elena; anzi: l'ha deciso Anita un mesetto fa) in modo che lei familiarizzi già con un futuro essere umano ben preciso;
- farsi aiutare dalla grande in alcune piccole faccende della preparazione della casa (stasera per esempio ci ha "aiutato" a montare la culla) e poi farle presente che se non ci fosse lei che ci aiuta non sapremmo come fare.
E così di questo passo, in modo da non creare gelosie, ma collaborazione.
Apparentemente questi piccoli escamotage stanno dando i loro frutti, perché Anita è veramente felice. E, come accennavo, parla tanto con la pancia di Dalia; e le racconta di tutto: quello che fa, cosa ha visto in tv, le dice che le vuole bene, eccetera.
E tutto questo lo fa alzando la maglietta di Dalia, come se Elena potesse sentirla meglio.
Momento cruciale quando poi decide che ha finito e allora dice "buonanotte sorellina" e tira giù la maglietta.
Imperdibile.
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