piccola intro: copio spudoratamente una rubrica dal blog di Angelo, dopo sua approvazione. Grazie.
Negli anni 80 ero un superfan degli U2; talmente fan che, insieme a mio fratello, compravamo qualsiasi disco, fanzine, pubblicazione o altro su cui la band irlandese comparisse.
Fu così che un giorno mio fratello tornò a casa con in mano il disco omonimo di Robbie Robertson, di cui non sapevo assolutamente nulla. Tranne ovviamente il fatto che quel disco contenesse un paio di brani dove figuravano i miei beniamini.
L'innamoramento fu immediato e, ancora oggi, rimane uno dei miei dischi preferiti, di quelli che non ti stanchi mai di ascoltare.
Una serie di brani dalle origini classicamente rock con alcune influenze indiane (Robertson, canadese di nascita, è figlio di un'indiana Mohawk) e contaminazioni di vario genere, ma che non perdono il filo conduttore: canzoni che sanno di deserto ("Fallen Angel", "Broken Arrow", "Somewhere down the Crazy River", "Sonny Got Caught in the Moonlight") e di città di frontiera ("Showdown at Big Sky", "Sweet Fire of Love", "American Roulette").
Per quello che era il suo primo album solista, Robertson si fece aiutare da partner d'eccezione: gli U2, appunto, Peter Gabriel e la sua gang (Manù Katché, Tony Levin e compagnia suonante), Gil Evans, Maria McKee dei Lone Justice e tanti altri; il tutto prodotto da uno dei Re Mida del settore, Daniel Lanois (canadese anche lui).
Il disco si apre con "Fallen Angel", un brano meraviglioso (forse il più bello del disco) dove il basso di Tony Levin le percussioni di Manu Katché e la voce di Peter Gabriel si sposano perfettamente con la musica e il cantato di Robertson.
Poi improvvisamente la musica prende tutt'altro ritmo con "Showdown at Big Sky", per poi tornare più indiana che mai in "Broken Arrow".
Quarto brano (e ultimo del Lato A del vinile) l'esplosiva "Sweet Fire of Love" dove la massiccia presenza degli U2 si sente già dalle note introduttive di chitarra "alla The Edge"; ma - rispetto a un brano degli U2 - è totalmente diverso. E, per i fan come me, si sente anche solo da come Bono imposta la voce: più sofferta e rauca; per poi aprirsi totalmente nel ritornello e duettare con Robertson mettendo in luce due stili completamente diversi.
Il Lato B (un po' meno bello del precedente) inizia con la rockettara "American Roulette", per poi proseguire con la bellissima "Somewhere down the Crazy River": un sussurro (comincia con Robbie Robertson che parla) che scalda il cuore.
Poi il disco alterna di nuovo un pezzo rockettone di quelli da cantare mentre si guida ("Hell's Half Acre") a una ballata ("Sonny Got Caught in the Moonlight") per chiudersi con un brano decisamente atipico: "Testimony", dove i fiati della Gil Evans Session la fanno da padrone.
In totale nove brani.
Un po' troppo pochi per chi ama questo disco.
5 commenti:
Grazie. Per tanto tempo l'avevo lasciato sepolto in mezzo ai ricordi, tanto che mi ero dimenticato l'emozione che mi dava.
Ho estratto il "piatto" dai mucchi di inutilia in soffitta, l'ho finalmente attaccato allo stereo, ho dissotterrato il vinile di Robbie Robertson, e mi sono finalmente concesso la mia dose di lacrime e brividi riascoltando Bono che duetta con Robbie Robertson in "Sweet fire of love".
Come diceva qualcuno, la macchina del tempo ce l'abbiamo già, solo che va a fantasia e ricordi, non a elettricità o a petrolio!
sai osa? manca l'anno di uscita.
che si intuisce, ma per precisione....
Ale, ho raccolto il tuo suggerimento.
Dopo una rece così
lo recupero, chetelodicoaffà?
Adoro The Band, ma le avventure in
solitaria dei suoi componenti le ho seguite poco.
Di Robertson ho molto apprezzato
Music for the native americans.
Bella lì.
stupendo lui, il disco, the band... tutto...
Mau
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