Da quattro mesi circa abbiamo un nuovo papa. Non ne ho mai scritto prima, perché non avevo la minima idea di chi fosse Jorge Mario Bergoglio, prima di diventare - appunto - papa Francesco.
Ma bisogna dire che sin dall'inzio del suo pontificato i segnali che ha dato sono stati più che ottimistici: presentarsi con l'abito bianco e una semplice croce alla sua prima uscita e usare il nome "Francesco" hanno dato subito un chiaro messaggio di povertà e di umiltà.
E altrettanto ha fatto nel proseguo del suo mandato, avvicinandosi ai poveri, sostenendo gli immigrati o condannando alcuni vescovi di Buenos Aires che si rifiutavano di battezzare bambini di coppie non sposate o separate.
E così arriviamo a ieri, quando su un tema delicato quale è l'omosessualità, interrogato sulle presunte lobby gay in Vaticano ha detto: "Le lobby tutte non sono buone. Mentre se uno è gay e cerca il Signore e ha buona volontà,
chi sono io per giudicarlo?"
Insomma: con la solita tempistica della chiesa, in ritardo di un centinaio di anni, forse ma forse cade il penultimo baluardo (l'ultimo riguarda l'uso dei contraccettivi) che separa le persone normali - tra cui mi annovero - e lo stato pontificio.
E tutto grazie a questo simpatico signore argentino che sembra venire fuori da un altro pianeta, ma che in realtà dice cose normalissime.
Forse è proprio questo il punto: dire cose normali e sensate sembra una rivoluzione.
No, giusto per capire in che tempi viviamo.
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