La morte di Amy Winehouse mi ha lasciato basito. Non solo perché è sempre un peccato perdere una cantautrice dal grande talento musicale, ma anche per come è avvenuta.
Una morte d'altri tempi, potremmo dire; una sorta di autodistruzione.
Da che mi ricordo, il genio degli artisti è sempre andato di pari passo con gli eccessi e una condotta di vita sregolata. Perché? Qual è il nesso tra i due?
Forse un'eccessiva sensibilità? Probabilmente il fatto che queste persone riescano ad esprimere i loro sentimenti in maniera così coinvolgente è in realtà frutto di un'emotività fuori dal comune e di una vita sofferta.
Mi ricorderò sempre il mio caro amico Giorgio che una volta mi disse: "sai, Filippo, tu saresti un grande poeta, solo che non hai sofferto abbastanza". Un po' a dire che io la sensibilità ce l'ho, ma forse mi mancano le esperienze che ti danno la spinta a scrivere.
Fatto sta che Amy, con la sua meravigliosa voce, non c'è più. Condannata a rispettare la legge del 27, che vuole che alcuni grandi artisti terminino la propria vita a 27 anni. Lei come Janis Joplin (paragone doveroso), Jim Morrison, Jimy Hendrix o il mio amato Kurt Cobain.
Facendo mente locale, ricordo che anch'io a 27 anni ho avuto un periodo particolarmente burrascoso. Non che voglia dire che io ho le caratteristiche per essere una rockstar, eh!, intendiamoci. Pensavo che forse l'ultimo passaggio tra la tarda adolescenza e l'età adulta avviene proprio a quell'età e un rigurgito di ribellione e anticonformismo ci porta a fare cose un po' al limite.
C'è chi lo passa e chi ci rimane impigliato.
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